Benessere animale e braccini corti

Cosa pensano e cosa fanno media e cittadini per il benessere animale

Allevamenti lager, con animali trattati in modo infame e cittadini indignati di conseguenza. Peccato che ciò che trasmettono alcuni programmi televisivi rispecchi solo una parte irrisoria della zootecnia moderna e che all’indignazione popolare non corrisponda una coerente predisposizione alla spesa

Che gli animali da allevamento non siano destinati a vivere in paradisi tropicali è un’ovvietà: vengono allevati per produrre uova, carne e latte, quindi la loro fine, prima o poi, è quella di morire anzitempo. Nel caso poi delle vacche da latte, i vitelli vengono giocoforza macellati a pochi giorni di vita, perché altrimenti il latte lo berrebbero loro anziché noi.

Crudele? Sì. Nessuno può negarlo. Naturale? Altrettanto, perché il mondo non è quello che si vede nei cartoni Disney o dell’Era Glaciale, con animali umanizzati a fini narrativi, tipo Bambi o lo scoiattolo che insegue la sua ghianda. Nessuno si chiede infatti cosa mangi Diego, la tigre dai denti di sciabola che fa parte del gruppo, insieme alla simpatica famiglia di mammut e al ridicolissimo bradipo. Nella realtà, animali come Diego attaccavano e sbranavano tutti gli altri, in modo feroce e violento. Del resto, una foca sbranata da uno squalo, o una gazzella sgozzata da una leonessa non si può certo dire facciano una bella fine nemmeno oggi.

Vi sono però alcune differenze fra noi e i predatori degli oceani o della Savana: noi siamo evoluti nel tempo fino a diventare predatori per interposto allevatore. In sostanza, deleghiamo gli allevatori a produrre latte, uova e carne al posto nostro. Gestiscono quindi loro gli animali, anziché cacciarli e basta, occupandosi poi della loro macellazione finale.

Il tutto, in ottemperanza di Leggi e disciplinari che ne regolano i comportamenti e ne stabiliscono l’accesso ai tanto agognati contributi pubblici. Di benessere animale, infatti, si parla ormai da decenni, partendo le prime normative a riguardo nel 1974, proseguendo con la riforma Fischler del 2003, cui seguì il Trattato di Lisbona del 2007 in cui si stabilì in via definitiva che gli animali da allevamento sono esseri senzienti, dotati cioè di autocoscienza e di una sfera emotiva. Infine la Pac, politica agricola comune, che per il periodo 2014-2020 ha stanziato 2,5 miliardi di euro anche a favore del benessere animale.

Nelle trasmissioni sedicenti di inchiesta, allevamenti moderni come questi non ne vengono mai mostrati, preferendo puntare i riflettori su una sparuta minoranza di pessimi allevatori che non possono essere certo considerati come paradigmi di un’intera categoria

Altra differenza fra noi e Diego è che mentre il dolore inflitto in natura a chi soccombe non può essere mitigato dai predatori, visto che hanno a disposizione solo istinto, zanne e artigli, noi umani possiamo invece ridurre al minimo sia le sofferenze a fine vita, come pure migliorare le condizioni stesse degli allevamenti. Siamo cioè capaci di realizzare condizioni a basso livello di stress per gli animali, ricordandoci però sempre che, appunto, non stiamo parlando di resort, ma di allevamenti: se non ci guadagni chiudi e che la gente mangi insalata.

Le postazioni singole di mungitura, robotizzate, permettono alle bovine di farsi mungere quando ne sentano la necessità. Vengono lavate, igienizzate e poi munte nel rispetto dei capezzoli scongiurando mastiti alle mammelle. Da notare come si formino ordinate file di vacche in attesa del proprio turno. Uno stupefacente esempio di civiltà bovina

Quando a parlare sono ipocriti e incompetenti

Il problema nato da questa delega dei cittadini agli allevatori è che oggi sono ormai i primi a dettare le regole ai secondi. E queste regole traggono spesso origine più dall’emotività e dall’ideologia che dalla competenza.

I consumatori finali, infatti, sono quasi del tutto digiuni perfino delle più elementari informazioni su allevamenti e benessere animale, con qualche dubbio quindi anche sulla reale attendibilità delle loro richieste. Per esempio, nel 2016 si domandò ai cittadini europei se fossero disposti a pagare qualcosa di più i prodotti di origine zootecnica se garantiti da un adeguato livello di benessere animale. Purtroppo, il 35% degli intervistati rispose con un secco no. Più equilibrati coloro che risposero “dipende dal prezzo”, pari però solo al 4%. Dall’indagine emerse poi un chiaro calo della predisposizione animalista all’aumentare del costo. Fino al 5% di aumento nei prezzi pare fosse disposto ad arrivare il 35% di cittadini. Percentuale che scese al 16% se l’aumento fosse stato dal 6 al 10%. Crollo al 5% per aumenti dall’11 al 20%. Infine, solo il 3% degli intervistati si disse disposto a pagare oltre il 20% in più a fronte di garanzie che gli animali fossero trattati al meglio.

Ma l’indagine di Eurobarometro descrisse solo delle mere intenzioni dichiarate, ignorando i reali comportamenti dei cittadini una volta che tali aumenti fossero divenuti reali. Chi bazzica l’ambiente della zootecnia ricorderà infatti quanto accaduto nel 2012 in California in tema di galline ovaiole: un referendum quasi plebiscitario sancì come i consumatori chiedessero a gran voce il passaggio dagli allevamenti in gabbia a quelli a terra, con molto più spazio per le galline.

Senza addentrarci sugli aspetti tecnici e sanitari che differenziano le due modalità di allevamento, aspetti che a molti apparirebbero sorprendenti, la consultazione popolare diede il via a una frettolosa riconversione di molti allevamenti dello Stato, ingolositi dai potenziali ritorni degli investimenti sostenuti. Quel referendum diede pure origine in California a una Legge conforme a quanto pareva fosse il desiderio popolare. Peccato che siano poi iniziate le sorprese: 13 Stati americani si opposero a tale svolta animalista, in quanto le loro uova, prodotte da galline in gabbia, non sarebbero state più commercializzabili nel primo Stato per popolazione negli Usa.

Tali ricorsi legali crearono nei supermercati una temporanea situazione per la quale al fianco di uova prodotte da allevamenti a terra vi fossero anche uova da allevamenti in gabbia, ovviamente meno costose. Ciò permise di misurare la coerenza del popolo californiano quando messo alla prova del portafogli: se il benessere animale fosse stato davvero così importante, come da referendum pareva, le uova da galline in gabbia avrebbero dovuto rimanere per lo più sugli scaffali, premiando quelle da galline allevate a terra.

Purtroppo, la coerenza dei Californiani non brillò affatto in quel frangente, dato che il consumo si orientò soprattutto verso le uova a prezzo più basso, cioè quelle da gabbia. A dimostrazione che un conto è rispondere a qualche domanda o votare a un referendum, mossi magari da pulsioni emotive che affondano le radici nei succitati personaggi umanizzati dei cartoni, un altro è assumersi impegni conformi a quanto affermato o richiesto.

Tra il dire e il fare, si sa, c’è di mezzo il mare. In parole più semplici, finché si trattava di obbligare gli allevatori a spendere di più per modificare il proprio operato, andava tutto bene, quando poi si è trattato di spendere di più per sostenere tale svolta, il braccio è divenuto all’improvviso molto corto, in ossequio al detto che vuole alcune persone molto generose, sì, ma solo con i soldi degli altri.

Un’esperienza, quella californiana, che si teme possa ripetersi molto facilmente anche in Italia, Paese in cui pare siano fin troppi gli ecologisti e gli animalisti solo a parole e, soprattutto, solo a spese altrui.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.