C’era una volta chi si credeva Napoleone

Cosa succederebbe se il Rag. Artemisio Scacabarozzi un giorno si svegliasse credendosi Napoleone? (Credits immagine: https://en.ac-illust.com/clip-art/23886527)

Un giorno un ragioniere di un paesino di provincia si convince di essere Napoleone Bonaparte, innescando una serie di eventi che coinvolgeranno tutti, volenti o nolenti

Un uomo comune in un paesino di provincia altrettanto comune. Questo il protagonista di una storia di pura fantasia che si è deciso di inventare per intrattenere e, magari, fare riflettere.

Il Rag. Artemisio Scacabarozzi nasce a Cremona, salvo poi crescere a Pizzighettone, paese di poche migliaia di anime in riva all’Adda. Fin da piccolo conduce una vita senza infamia e senza lode. Prova a giocare a calcio, ma non è un granché. Piccoletto e un po’ bruttino, non ha nemmeno successo con le ragazze e diviene adulto rimbalzando fra tanti piccoli fallimenti e delusioni. Essendo un mediocre nato, il povero Artemisio non è infatti capace nemmeno di averne di grandi.

Prende un diploma da ragioniere, con un voto di poco superiore alla sufficienza, e trova poi lavoro in un ufficio pubblico. Nulla di che, perfettamente in linea con la sua vita. Però gli consente di avere uno stipendio e di andare a vivere da solo in una casetta al limite del paese.

Anno dopo anno la sua frustrazione cresce. Senza che ve ne sia motivo, Artemisio si convince che non doveva andare così. Che non è lui ad avere importanti limiti datigli dalla biologia e dalla natura. Lui, s’illude, era destinato a grandi cose. Doveva nascere ben altro e solo un destino cinico e baro lo ha fatto nascere nel corpo di Artemisio Scacabarozzi, ragioniere.

Napoleone diviene quindi il suo riferimento: piccoletto come lui, dal pene minuscolo, come lui, ciuffo con riportino per coprire la pelata, come lui, un po’ di pancetta, come lui. Oh cielo benedetto! Ma allora lui è… come lui! Piano piano, Artemisio finisce con l’indentificarsi sempre più con il personaggio storico, con le sue gesta, con il suo aspetto. Lentamente, la sua identità originaria, di Artemisio Sacabarozzi, ragioniere, diviene sempre più evanescente. Una sorta di dissolvenza grazie alla quale il suo io biologico e sociale viene sostituito dall’io immaginario privato, fino a che un giorno viene varcata la soglia: Artemisio non si sente più Artemisio, bensì Napoleone. Non si chiama più Scacabarozzi, bensì Bonaperte.

In pieno delirio narcisistico, si guarda allo specchio e non vede più se stesso, bensì un imperatore francese che preme per tornare a camminare sul mondo. E così, il povero Artemisio va da un negozio di costumi teatrali e spende buona parte dei suoi pochi risparmi per farsi fare vestiti su misura uguali a quelli di Napoleone. Per lo meno, quelli con cui Napolenone veniva raffigurato ai tempi.

Ma Napoleone aveva anche un cavallo bianco. Allora Artemisio si fionda da un maneggio in cui un vecchio ronzino di color bianco sta per essere mandato al macello per raggiunti limiti di età e spende ciò che gli resta per portarselo a casa e lasciarlo libero nel piccolo prato annesso alla sua umile abitazione.

La metamorfosi è però incompleta: Artemisio non conosce una parola di francese. Allora si mette a studiare la lingua d’Oltralpe su vecchi libri di scuola di uno zio ormai defunto e piano piano impara anche il francese. Un po’ maccheronico, ovviamente, poiché non s’impara una lingua in modo perfetto nemmeno dopo molti anni di pratica, figuriamoci studiando per qualche mese su vecchi libri, alla sera, nella propria cameretta. Ma alle proprie orecchie, lui, parla un ottimo francese.

Come pure si ammira estasiato allo specchio, mentre si pavoneggia indossando gli abiti di pannolenci con cui il negozio di costumi teatrali ha realizzato quanto chiesto da Artemisio, ma restando entro il budget di 500 euro. Il suo cervello continua però a giocargli brutti scherzi, illudendolo di essere perfetto. In pratica, Napoleone reloaded.

Per molti anni Artemisio va al lavoro, vestito un po’ fantozzianamente. Lavora, un po’ fantozzianamente. Subisce la vita, un po’ fantozzianamente. Ma mentre le ore passano, fra una pratica burocratica e l’altra, la sua mente sorride pensando al momento in cui sarà a casa, lontano da occhi indiscreti e potrà abbandonarsi al suo momento preferito: travestirsi da Napoleone e camminare su e giù per la stanza declamando i suoi discorsi più famosi.

Quando è buio e nessuno lo può vedere, Artemisio si azzarda addirittura a uscire di casa, andare sul prato vestito da imperatore e cavalcare in circolo il povero ronzino al quale ha salvato la vita. Fino a che un giorno non ce la fa più: lui è Napoleone e tutto il mondo deve saperlo. Basta fingere, basta nascondersi. Giunta è l’ora di mostrarsi come tale.

Sconcerto e ilarità, ovviamente, sono le reazioni che genera quando la domenica successiva, vestito da Napoleone, sale in groppa al suo ronzino supposto nobile destriero e percorre la via centrale del paese declamando accalorati discorsi in francese. I suoi concittadini, che lo conosco da quand’è nato, restano basiti. Che diavolo sarà mai saltato in testa ad Artemisio per conciarsi in qual modo? Sarà uno scherzo? Sarà mica forse impazzito di colpo? Molti lo osservano, ridacchiando di nascosto giusto per non umiliarlo e offenderlo, ma nei baretti del paese i commenti si sprecano. Però, in fondo, sanno che Artemisio è un bravo cristo e quindi non fanno alcunché per impedirgli di farsi le sue passeggiate domenicali di fantasia.

Putroppo per Artemisio, però, c’è anche chi lo deride in faccia, gli fa pernacchie, lo molesta verbalmente e i più prepotenti anche fisicamente. I soliti bulli che si credono forti tormentando un debole. E quindi Artemisio scappa a casa, incredulo: nessuno lo ha riconosciuto per come lui si sente di essere. Lui si sente Napoleone, si sforza di pensare e di parlare come Napoleone. Si veste e cavalca come Napoleone (almeno lui crede). Come fanno quei bruti a non capire che lui è Napoleone?

Problema: Artemisio dimentica che la tolleranza verso di lui e le sue stranezze napoleoniche è durata finché lui stesso non ha oltrepassato il segno dell’accettabilità sociale. In reazione a chi lo sfotteva, si è infatti messo a strillare (sempre in francese) di inchinarsi e di ossequiare l’imperatore al suo passaggio. Sua Maestà, pretendeva di essere chiamato, come pure che quando impartiva un ordine al primo concittadino di passaggio, questi doveva obbedire e pure di corsa.

Ai molteplici inviti ad andare a farsi curare e di smetterla di rompere gli zebedei a tutti con le sue fantasie, per tutta reazione Artemisio va invece dal Sindaco, pretendendo che questi emani una circolare comunale in cui si imponga ai cittadini di Pizzighettone di ossequiare Napoleone, di dagli del Voi, di obbedirgli e di ottemperare a ogni sua richiesta quanto ad accessi a luoghi ed eventi pubblici. Lui è Napoleone e chi insiste a chiamarlo Artemisio deve essere multato per “hate speach” (termine trovato in rete e colto al volo da Artemisio).

Il sindaco lì per lì lo manda a stendere, con comprensiva gentilezza, ma sempre a stendere lo manda. E così Artemisio medita vendetta, sempre più livoroso, arrabbiato, assetato di rivalsa e vendetta verso il resto del mondo, quello che cioè si ostina a non riconoscerlo come Napoleone Bonaparte redivivo. E chatta oggi, chatta domani, scopre che a Codogno, poco distante, c’è una donna che afferma di essere Cleopatra, subendo esattamente il medesimo suo trattamento. A Grumello c’è invece un tizio che afferma di essere Winston Churchill, un altro a Cavatigozzi che blocca il traffico vestito da Leonida alle Termopili urlando “Questa è Sparta!”. Insomma, Artemisio grazie al web scopre di non essere solo: come lui ce ne sono altri e tutti patiscono le stesse pene.

E allora agisce: crea l’associazione NCWL (Napoleone, Cleopatra, Winston e Leonida) e pianifica una serie di azioni pubbliche. Flash mob, manifestazioni davanti ai municipi e alle scuole, lettere a giornali e televisioni, finché a Cremona non arrivano inviati da mezzo mondo. Giornalisti, intellettuali e conduttori televisivi lo invitano, lo intervistano, gli danno voce. Artemisio e la sua associazione diventano famosi, onnipresenti, sollevano indignazione cavalcando quel vittimismo che sempre funziona quando una minoranza dichiara guerra a una maggioranza, indipendentemente che abbia ragione o meno. Soprattutto, funziona quando questa maggioranza sia molto silenziosa e passiva, sottovalutando pericolosamente le azioni altrui.

Da lì a poco, Artemisio trova anche sponda in Parlamento, ove un gruppo di onorevoli e di senatori appoggia le sue istanze “inclusive” proponendo disegni di legge grazie ai quali ad Artemisio e ai suoi amici debbano essere concessi gli stati personali che essi chiedono. Nello stupore (ma sempre nel silenzio) generale, la legge passa e da quel momento chi prova a chiamare Artemisio col suo nome, a ricordargli che è un ragioniere e non l’imperatore parigino, rischia di finire in tribunale con l’accusa di discriminazione e di “istigazione all’odio”.

Ora Artemisio gongola, tutto tronfio, passaggiando a cavallo per Pizzighettone, osservando i suoi concittadini abbassare lo sguardo, cambiare marciapiede al suo cospetto. Lo temono, finalmente. Lui è Napoleone ed è quindi giusto che il popolo lo tema. E ciò avviene in ogni altro paesino con Cleopatra, Winston e Leonida, più tutti gli altri matti che si sono illusi di non essere nati Lucia, Mario o Filippo.

Chi si prova ad arginare pubblicamente questa follia, assurta ormai a livello nazionale, viene lui messo sotto processo mediatico. Lui, o lei, se ricordano che per essere Napoleone non basta vestirsi, parlare e percepirsi Napoleone, vengono accusati di ogni cattiveria e barbarie. Loro sono gli ottusi, i retrogadi, gli oscurantisti. Gli odiatori seriali. A conferma che quando un pagliaccio prende possesso del castello, non è lui a divenire Re, bensì è il castello a diventare un circo.

PS: nessun ragioniere è stato maltrattato per scrivere questa favola di fantasia. Perché è solo fantasia vero? Non sarà mica così folle il mondo da… vero? VERO????

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Concorsi di bellezza, fra contrapposti razzismi e altre amenità

Ignoranza, stupidità e cattiveria: ma bellissime… (foto freepick)

L’elezione di una ragazza bianca come Miss Zimbabwe ha generato sdegno nel Paese africano, ove la popolazione è per il 98% nera. I precedenti, alla rovescia, furono Denny Mendez in Italia e Yityish Aynaw in Israele. Con Miss Olanda che per giunta è un trans…

Personalmente, ho sempre trovato banali, noiosi e inguardabili i vari concorsi di bellezza, femminili o maschili che siano. Edonismo, narcisismo e superficialità dominano infatti incontrastati e a ben poco sono serviti gli espedienti cultural-intellettuali – o sedicenti tali – con cui gli organizzatori cercano di arricchire le proprie kermesse. E no: la pace nel Mondo avrebbe anche un po’ rotto gli zebedei come sogno nel cassetto di giovani a cui probabilmente interessano ben altre le cose.

Di recente è però avvenuto un caso che ha attratto l’attenzione su uno di questi concorsi, ovvero quello per Miss Zimbabwe, Paese africano. Concorso che è anche apripista per la candidatura a Miss Universo. A vincere è stata infatti Brooke Bruk-Jackson, modella bianca, per giunta biondissima. Al grido di “Non ci rappresenta!” si sono levate subito le proteste razziste, ma alla rovescia: neri verso bianchi anziché bianchi verso neri. Peraltro, il “Non ci rappresenta!” è più o meno la stessa argomentazione usata dai fascio-lego-razzisti italiani nei confronti di modelle/i o atlete/i di colore che portino lustro nelle competizioni internazionali.

Basti pensare alle critiche, sterili e becere, che fioccano da anni su Paola Egonu, la pallavolista che gareggia in azzurro nonostante la sua deliziosa pelle ebano. Per giunta, la simpatica spilungona di colore ha dichiarato di essersi innamorata alternativamente di uomini e donne. Cioè bisessuale dichiarata. Apriti cielo: se si presentasse a Pontida durante l’annuale “rave” leghista rischierebbe di essere servita insieme alla polenta taragna.

Nel 1996 fu invece Denny Andreína Méndez de la Rosa, Denny Méndez per gli amici, a scatenare le medesime polemiche viste oggi in Zimbabwe. Denny è infatti di colore, ma ha vinto Miss Italia arrivando poi quarta a Miss Universo l’anno successivo. Attrice ed ex modella dominicana, la graziosissima Denny ha infatti sì cittadinanza italiana, ma non lo è di origine. I suoi splendidi capelli ricci abbinati al carnato caraibico, in effetti, in Italia non trovano molti termini di paragone. Quindi non rispetta quell’idiozia dell’identità di razza cui si rifanno da sempre i trogloditi nostrani.

Ma gli idioti non conoscono confini. Infatti, anche Gerusalemme inciampò in polemiche capziose sull’elezione a Miss Israele di Yityish Aynaw, detta “Titi”. Anch’ella modella (poteva forse non esserlo, bella com’è?) fu incoronata la più bella del Paese nel 2013, partecipando di conseguenza anche all’edizione dello stesso anno di Miss Universo. Dov’era la stranezza? “Titi” era di origine africana, nella fattispecie etiope. Pazienza, direbbero le persone intelligenti. Infatti, a criticare tale vittoria furono i soliti imbecilli di stampo ortodosso.

Con la vittoria di Brooke Bruk-Jackson in Zimbabwe si è potuto finalmente provare in modo scientifico che idiozia, ignoranza e cattiveria sono caratteristiche trasversali alle razze: basta che a vincere sia qualcuno di razza differente a quella più numerosa nel paese et voilà: “Non ci rappresentahhahahh!!!11!1!”. Ovviamente declinato nelle diverse lingue del Mondo.

E se a vincere è un Trans?

Poteva forse la disamina sulle Miss finire sul tema bianco/nero? Non che non poteva. In Olanda a vincere il titolo di Miss nazionale è stato un transessuale, Rikkie Kolle. Ex Rik. Una bellezza cristallina, per quanto i gusti siano e restino pur sempre gusti. Ma il caso è deflagrato per il fatto che Miss Olanda è nata… uomo. La giuria ha infatti deciso di dare vita a una “storia forte con una missione chiara”. E in effetti, nell’ambito della propaganda transgender va dato atto agli Olandesi di aver lanciato un messaggio fortissimo.

Di per me, ho dato alla notizia poca importanza, visto che la mia attenzione ai concorsi di bellezza, come dicevo, è pressoché nullo. Ma poi mi sono chiesto: al di là degli aspetti di genere, per diventare Rikke il buon Rik avrà dovuto sottoporsi a una sfilza di interventi chirurgici e di modifiche estetiche pesanti. Quindi, non avrebbe dovuto aver nemmeno accesso a un concorso di bellezza che, di norma, dovrebbe premiare le bellezze “nature”, cioè nate come mamma le ha fatte.

Viene cioè da chiedersi se Rikke fosse nata davvero donna, ma bruttina, e si fosse completamente rifatta grazie a bisturi e altri espedienti medico-estetici, la giuria olandese l’avrebbe premiata comunque come la più bella dei Paesi Bassi? Vi è da dubitarne seriamente. Forse, accettando tale prassi, meglio sarebbe indire un concorso per il miglior chirurgo plastico. “Miss & Mr. Bisturi”. Non suona neanche male.

Ergo, anche nel caso olandese più che il buon senso poté l’azione di lobby e l’interesse mediatico. Con buona pace del buon senso stesso.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Giambruno, fra lupi, alcol, stupri ed esempi del menga

Su stupri e ubriachezza molti i commenti e gli esempi. Troppi dei quali sbagliati (foto freepick)

Andrea Giambruno, partner della Premier Giorgia Meloni commenta i casi di stupro, puntando il dito contro gli eccessi che ne favorirebbero la perpetrazione. Ovviamente, è stato sommerso da una shitstorm epocale

Stupri, alcol, discoteche e altri temi che più divisivi di questi non si può. Per lo meno sui social e negli ultimi tempi. Ultimo della serie il caso Giambruno. Il compagno della Premier Giorgia Meloni si è infatti espresso sul tema “alcol-stupri” e contro di lui si è generata una tempesta di merda epocale.

Cosa avrebbe detto Giambruno

Uno magari dice a sua figlia: guarda, non salire in macchina con uno sconosciuto. Perché è verissimo che tu non debba essere violentata perché è una cosa abominevole. Però se eviti di salire in macchina con uno sconosciuto, magari non incorri in quel pericolo“.

Poi ha proseguito: “Certo che se tu vai a ballare hai tutto il diritto di ubriacarti. Certamente, questo è assodato. Non ci deve essere nessun tipo di fraintendimento o di inciampo. Però se eviti di ubriacarti o perdere i sensi magari eviti anche di incorrere in determinate problematiche e poi rischi che il lupo lo trovi”.

Di fatto Giambruno ha parlato di rischi, minori o maggiori a seconda del grado di esposizione che il singolo soggetto decide di avere alterandosi con sostanze da abuso. Neanche affidarsi a uno sconosciuto, peraltro, appare la cosa più saggia che si possa fare, specie nel cuore della notte, a meno di essere un sesto Dan di arti marziali o di avere un taser già pronto in mano. Analogamente, se si perde il controllo di se stessi diviene praticamente impossibile evitare situazioni avverse che si potrebbero invece gestire stando sobri. E magari scapolarsela, invece di sperimentare una delle peggiori esperienze che una donna possa subire.

Si dubita peraltro che i detrattori di Giambruno consiglino alle proprie figlie di affidarsi ai primi che passano, o che salutino le proprie giovani al grido di “Mi raccomando, divertiti! Spaccati ammerda!“.

La cosa peggiore che Giambruno ha quindi detto, ma che in pochi hanno stranamente stigmatizzato, è l’aver praticamente sostenuto la liceità di ubriacarsi marci. Il tutto, a fronte dei gravi danni che l’alcol provoca alla salute in genere e agli incidenti che causa per manifesta incapacità di guidare.

Quindi il messaggio di Giambruno sarebbe stato meglio fosse: “Bevete solo con moderazione. Eviterete di fare una qualsivoglia brutta fine voi o di farla fare a qualche malcapitato che passi davanti al cofano della vostra macchina“. Macché: il punto degli abusi da alcol non è stato manco sfiorato. Molto male, Giambruno. La libertà di sfondarsi, che difendi con tanto calore, resta. Ovvio. Nessuno può infatti proibire ad alcuno di bere oltre il limite del buon senso. Semmai da stigmatizzare sono le conseguenze dell’esercizio di quel diritto. E tu hai dimenticato di farlo.

Le risposte del menga ad Andrea Giambruno

Sui social si è poi assistito a una fioritura di meme, rilanci e video satirici con imitatori di Giambruno e Meloni (alcuni dei quali in effetti spassosi). Un florilegio di frasi che volano alto, altissimo. Peccato che spesso siano fuori bersaglio.

L’Homo sapiens contiene infatti una certa percentuale di criminali da quando è stato identificato tale: ladri, assassini, truffatori, violenti, rapinatori, stupratori e chi più ne ha più ne metta. Accettatelo, perché così è e così sarà finché un evento estremo non cancellerà l’Umanità dalla faccia della Terra. A fronte di una maggioranza di famiglie che prova a educare i propri figli e figlie nel rispetto degli altri e di se stessi, vi saranno sempre altre famiglie di trogloditi che trasferiranno ai figli dei disvalori come la prevaricazione quale segno di forza, oppure il diritto di prendersi quello che si vuole perché è così che si fa.

Basti pensare ai commenti di certe madri in difesa dei propri figli stupratori: le ascolti e capisci perché quei ragazzi sono diventati grandi di corpo, ma non di cervello. La domanda quindi è: ma con certe famiglie di subumani, come potete sperare che basti esortare sui social a una migliore educazione dei figli maschi per eliminare il problema degli stupri? Utopie inutili, le vostre, che non spostano il problema di una virgola.

Fatta perciò salva l’ineluttabilità di eventi criminali di vario genere, stupri inclusi, e quindi pure lo sgradito obbligo a convivere con una miriade di farabutti bastardi, cos’avrebbe sbagliato Giambruno nel citare i lupi quali similitudine con gli stupratori? Il lupo è un predatore e i violentatori, non per caso, sono chiamati anche “predatori sessuali“. Per quanto io ami i primi, cioè i lupi pelosi, e odi profondamente i secondi, la similitudine ha tutti i suoi perché. Quindi che cavolo lo perculate a fare?

Ma niente: una giornalista si è lanciata perfino in un’illazione sul fatto che se Giambruno parla di lupi allora ne consegue che le donne, sintetizzo, sarebbero presentate come prede al pari di un pezzo di carne da sbranare. Una forma di retorica che aborro, poiché a me piace restare fedele a quanto detto, lasciando ad altri il vizio di piazzare parole mai dette – né forse mai neanche pensate – in bocca all’oggetto della propria filippica.

Più prosaicamente, sui social c’è poi chi crede di essere spiritoso pubblicando il tormentone per il quale se sei donna e ti ubriachi arrivano i lupi, mentre se sei uomo e ti ubriachi arrivano i taxi. Ma siete seri? L’ipotesi taxi vale infatti anche per le donne, mica solo per gli uomini. Perfino la povera capra uccisa a calci per divertimento da degli imbecillotti è stata tirata in ballo, credendosi sagaci nell’affermare che il povero animale non si era mica ubriacato. No comment. Perché certi livelli di stupidaggine vanno presi come sono e lasciati stare dove li si è trovati.

Fra i fustigatori illustri di Giambruno si è evidenziato perfino Enrico Mentana, il quale ha postato un commento nelle intenzioni intelligente, ma fallimentare nei risultati.

Ciò che non elabora Mentana è che ci possono essere comportamenti enormemente differenti in ciascuna delle situazioni che ha elencato. Per esempio, se esco di casa peritandomi di sbarrare accuratamente porte e finestre, magari i ladri possono comunque penetrare casa mia e violare la mia proprietà. Sono delinquenti, criminali, e loro è tutta la colpa dell’illecito a mio danno. Se però esco di casa lasciando porta e finestre aperte, le cose cambiano parecchio. I ladri restano comunque loro i delinquenti della situazione, ma io posso lecitamente essere reputato un coglione, poiché la mia casa, la mia proprietà, gliel’ho offerta su un piatto d’argento.

Quindi, fatto salvo che in entrambi i casi sono io la vittima e loro i delinquenti, nel primo nulla potrà essermi imputato, nel secondo, invece, se vengo coperto di pernacchie per la mia dabbenaggine è meglio che stia zitto, perché me le merito tutte. Quindi, caro Mentana, se sei un giornalista e fai degli esempi del menga, sai bene a chi dare la colpa.

Lo stesso discorso di cui sopra vale del resto per le auto lasciate aperte con la chiave nel quadro. Ricordo che molti anni fa un tizio lasciò l’auto in doppia fila per entrare in un qualche posto che manco ricordo quale fosse. La macchina restò appunto aperta e con la chiave inserita. Dopo pochi minuti uscì, scoprendo che – sorpresa e raccapriccio – l’auto non c’era più: a un ladro che passava di lì non sarà parso vero di involare una macchina incustodita e pure con la chiave nel blocchetto di avviamento. Ci mancava fosse col motore acceso e un bigliettino con su scritto “Un regalo per te” e per il ladro sarebbe stato perfetto.

La vittima del furto, perché quell’uomo era comunque la vittima e il ladro restava pur sempre lui un farabutto, non poté però contare su alcuna comprensione, né venne difeso da alcuno. Al contrario venne perculato allo sfinimento, emergendo dai commenti quasi quasi una simpatia per il ladro, quella che si genera verso un qualunque individuo che punisca un cretino per la sua dabbenaggine.

Ovvio che tale simpatia era del tutto fuori bersaglio: per quanto il proprietario dell’automobile fosse stato un imprudente babbeo, quello sempre furto era. E verso quel delinquente sarebbe stato sacrosanto esprimere stigma sociale. E invece no: in quel caso nessuna comprensione, nessuna difesa d’ufficio. L’automobilista a quel ladro la propria macchina l’aveva offerta su un piatto d’argento. Quindi se l’era cercata. Espressione in odio alla frangia dei giustificazionisti, ma che pare vada benissimo quando usata a targhe alterne.

Manca l’ipotesi di confronto

Nella diatriba su stupri e ubriachezza (o altre forme di alterazione mentale) manca ovviamente l’ipotesi opposta, ovvero come sarebbero andate le cose in assenza di alterazione mentale. Esempio lampante di tale fallacia logica lo ha fornito un mio contatto social: la figlia ventenne è stata molestata in pieno giorno, camminando per strada vestita in modo del tutto normale. Quindi secondo sua madre il tema alcol non sarebbe da porre al centro della discussione.

La figlia, però, non è mica stata stuprata, riuscendo a cavarsi d’impiccio e a sganciarsi dal molestatore, tornando a casa sana e salva. Forse non sarebbe andata così se fossero state le tre di notte, fuori da una discoteca, ubriaca e barcollante, per giunta vestita con tre francobolli come spesso usa fra le giovani cui piacciono gli eccessi. Ovvio che se il molestatore fosse passato alle vie di fatto, divenendo stupratore a pieno titolo, il reato l’avrebbe sempre e comunque commesso lui, solo lui, esclusivamente lui. Ma la ragazza sarebbe da giudicare al pari dei succitati padroni di casa e di automobili che ai delinquenti l’opportunità l’hanno offerta, appunto, su un piatto d’argento.

Situazione contraria e argomentazioni ad minchiam: un ex contatto social, bloccato in quanto da me reputata una vera imbecille, s’intese di dimostrare una tesi, finendo comicamente col dimostrare proprio la tesi alla quale si opponeva con ardore. Ricordate il caso delle due turiste americane e dei due Carabinieri che con le ragazze ebbero rapporti sessuali favoriti dal loro stato di ubriachezza? Ecco, l’irrazionale pasionaria stava discutendo proprio di quello, contrapponendosi aggressivamente a chi obiettava che forse lo stato di ubriachezza non fosse tale da far sì che le due ragazze non sapessero cosa stessero facendo coi due Carabinieri.

Quale argomento a sostegno delle proprie posizioni, la tipa riportò un evento a lei stessa accaduto, raccontando di una serata fra colleghi al termine della quale uno di questi l’accompagnò a casa poiché sbronza dura. L’uomo provò a baciarla, sperando in una conclusione erotica della serata, ma si trovò contro una sorta di tigre del Bengala scatenata che si mise a urlare, insultare e menare come un fabbro. Anche se ubriaca dura…

In sostanza, con la propria testimonianza stava confermando che anche se una donna è sbronza può comunque opporsi a un uomo, ovviamente sgradito, che sta tentando un approccio sessuale. Addirittura può metterlo in fuga. Col suo stesso racconto dimostrava cioè l’esatto opposto della tesi che stava cercando di sostenere, ovvero che una donna che ha bevuto sia in totale balia dell’uomo che ci prova anche senza bisogno di perdere i sensi. Un genio, praticamente. Bloccata e via, perché di certi sproloqui sui social ce n’è una ricca messe e più ci se ne libera e meglio è.

Ti possono stuprare anche se sobria

Ovvio che sì. Ricordo uno stupro in cui la vittima era una donna che aspettava l’autobus di prima mattina per andare a lavorare. Non era certamente ubriaca, né vestita da cubista, eppure un uomo la prese con le cattive, la picchiò, la trascinò dietro a dei cespugli e la stuprò. Lo poterono arrestare solo anni dopo, quando il DNA rinvenuto sulla povera malcapitata poté finalmente essere comparato con quello prelevato in occasione di un altro reato di cui l’uomo di era macchiato.

Contenti? Esempio calzante alle vostre tesi, no? No, per la miseria! Liquidare la faccenda sostenendo che si può essere stuprate anche da sobrie fa il pari con chi sostenesse che si può guidare sbronzi e senza cintura perché tanto la maggior parte dei morti sulle strade erano sobri e con la cintura allacciata. Una fallacia logica che ricorda quella dei novax che si credevano sagaci nel far notare che nelle terapie intensive c’erano anche dei vaccinati. Vi rendete conto che sono (s)ragionamenti da coglioni?

No, forse non ve ne rendete conto.

Somma delle somme…

Ecco, mondando le prolusioni di Andrea Giambruno dal semplicismo e dalla mancanza di stigma delle assunzioni smodate di alcol, i consigli che ha dato non sono mica poi tanto sballati. In pratica, stando all’osso, ha solo detto che è meglio non andare in macchina con degli sconosciuti e che è bene non spaccarsi ammerda di alcol, perché poi aumenta (badate bene: aumenta!) il rischio di finire nel mirino dei predatori sessuali. Questi infatti, analogamente ai predatori in genere, scelgono sempre le prede più facili. Sempre loro i predatori sono, ovviamente, e le donne vittime. Ma se la tua incolumità gliel’hai offerta tu stessa su un piatto d’argento, onestà intellettuale vorrebbe che almeno della cogliona tu te lo dessi. Non foss’altro per dare un esempio a chi nella tua situazione non ci è ancora finita, ma continuando a sballarsi rischia di finirci.

Anche perché sfarsi di alcol pare essere divenuta cosa di cui vantarsi: matrimonio, tavolata dei giovani, una ragazza si vanta di aver vomitato ogni tipo di alcolico. Se ne vantava. Una cosa da cretini, di cui perciò vergognarsi, ma lei se ne vantava. Capite quanto vuoti siano i commenti sui social in cui si afferma che una donna dovrebbe essere libera di circolare di notte, pure fosse nuda, senza che alcuno la toccasse? Ma certo: anch’io vorrei un mondo in cui nessuno, mica solo le donne, rischiasse pessime esperienze. Anch’io ci metterei la firma affinché non esistessero furti, rapine, aggressioni, violenze. Quando avrete trovato la dimensione parallela dove la Terra è un siffatto paradiso terrestre avvisatemi, che mi trasferisco subito.

Fino ad allora scendete dal pulpito, poiché le frasi ad effetto non vi rendono più intelligenti, colti, intellettuali. Dimostrano solo che non capite da che parte stia il problema. Quindi ne fate inconsapevolmente parte.

Capisco bene che nell’attuale società l’obiettivo dominante è la cancellazione del senso di responsabilità personale, attribuendo sempre ad altri ogni responsabilità di ciò che accade. Così facendo, però, si istiga all’imprudenza proprio le potenziali vittime. Perché se tu per primo, o per prima, non badi affatto a te stessa, alla tua proprietà, alla tua incolumità, un po’ coglione/a lo sei. E sarà sempre tardi quando si ammetterà questa banalissima evidenza fattuale.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Democrazia quantitativa: l’uno che vale uno, diciamocelo, è un disastro

Basterebbe un esame su 100 domande di vario ordine e grado, con 4 risposte possibili, a quiz. Roba facile, ma capace comunque di filtrare gli analfabeti funzionali e renderli innocui

Per quanto una democrazia imperfetta sia comunque meglio di una perfetta dittatura, va ammesso come la democrazia quantitativa, quella dell’uno vale uno, abbia causato in Italia disastri gravissimi. Per rimediare, basterebbe solo un po’ di tecnologia e la voglia di premiare i migliori

Di quanto vi sia bisogno di cambiare sistema elettorale ne aveva parlato persino il sito satirico del Comune di Bugliano, secondo il quale per poter votare si dovrebbe prima superare un test logico-culturale. Questo si baserebbe su 100 domande con tre risposte possibili ciascuna. Per avere diritto al voto, secondo i creativi satirici Buglianesi, si dovrebbe rispondere correttamente almeno al 70% di esse.

A Bugliano scherzano (forse), ma questa idea è tutt’altro che “satirica”. Di fatto, la politica nazionale è da decenni in mano ai populismi più beceri, di destra e di sinistra, per i quali ciascuno strilla slogan e fa promesse in base a meri calcoli elettorali. Ciascuno dice cioè quello che la propria base elettorale si presume gradisca venga detto e promesso. Il dramma è che poi il popolino davvero si comporta in questo modo, votando non in base a particolari ragionamenti razionali, bensì in base a ciò che più lo ha stuzzicato nei propri interessi. Veri o soltanto presunti.

Lega e Fratelli d’Italia strillano su sicurezza, migranti, sovranità nazionale e spesso (a targhe alterne) sono anti euro e anti Europa. Forza Italia, tramite un leader come Silvio Berlusconi ormai decotto ma sempre sul pezzo, promette di alzare pensioni (a debito) e di tagliare tasse, soprattutto ai ricchi. La sinistra, invece, la butta sempre sull’intellettual-culturale. Argomenti sulla carta nobili eh? Intendiamoci. Tipo diritti umani (ridotti però spesso a un mero “semo tutti fratelli”, “volemose bene”, “restiamo umani”… etc. etc.), oppure una generica attenzione per gli ultimi (sì, ma chi e soprattutto come?). Una sinistra che promette di mettere più tasse ai ricchi per fare più regali ai poveri, senza però mettere mai mano all’economia vera, quella che produce ricchezza, in ossequio a quell’ossessione statalista, anti-capitalista e anti-liberista che resta l’imbarazzante ossatura della sinistra stessa.

I grillini, beh, basta la parola. Emblema dell’apparentemente nobile concetto di “uno vale uno”, grazie ai voti di buona parte degli Italiani questi hanno riempito consigli comunali, regionali e Parlamenti con una miriade di personaggi dall’incapace al demenziale, quasi tutti fedeli ai molteplici cospirazionismi e arroccati sulla frusta narrazione anti-casta e anti élite. No Tav, No Tap, No Rigasificatore, No Pesticidi, No Ogm, No Nucleare e chi più ne ha più ne metta. Una su tutte l’azione battente di molti esponenti 5S sul tema Xylella degli ulivi in Puglia, alimentando movimenti contro gli abbattimenti degli alberi infetti ipotizzando cause e propugnando soluzioni tra il complottista e lo psichedelico.

Oltre a quelli sopra citati, il Belpaese è ammorbato anche da una galassia di partitini che ondeggiano perennemente in bilico su trattative coi partiti più grossi, tipo il Pd, per realizzare schieramenti abbastanza ampi da ottenere qualche risultato elettorale. Peccato che così facendo si generino accozzaglie che anche se vincessero le elezioni litigherebbero su tutto e farebbero cadere i governi in tre decimi di secondo. Dura infatti far convivere gli ultrà della sinistra eco-luddista con l’anima catto-comunista che ancora aleggia nel Pd. Peggio ancora se vengono imbarcati pure ex Grillini o ex Forziste. Unico motivo per votarli? Non fare vincere le destre… Per l’amor del Cielo, son d’accordo: mi agghiaccia l’idea di avere Giorgia Meloni o Matteo Salvini Premier, e la prima delle due ipotesi si è infatti avverata, ma votare Pd, o il minestrone cui dà spesso vita, solo per sbarrare la strada alle destre, mi avrebbe anche stufato. Quindi che fare?

Una rivoluzione che nessun partito, ovviamente, vorrà mai fare: cambiare l’attuale democrazia quantitativa, basata sull’idiozia dell’”uno vale uno”, in una sua versione più moderna ed efficace. Ovvero, una democrazia meritocratica, qualitativa, capace di sparigliare per sempre le pastoie opportuniste dei politicanti attuali. In sostanza, uno non dovrebbe mai valere uno, poiché non sta né in cielo né in Terra che nella cabina elettorale un ignorante, ottuso e mezzo matto possa valere quanto una persona colta, intelligente e pure sana di mente. Facile a dirsi, ma in fondo sarebbe anche facile a farsi. Basterebbe volerlo. Ecco come.

Bugliano ha ragione (ma si può fare di meglio)

Più che di una promozione “Sì-No”, come quella proposta dal comune satirico di Bugliano, la questione potrebbe essere riscritta in modo più inclusivo, senza cioè levare diritti ad alcuno ma dando la possibilità di valere di più a chi dimostrasse di meritarselo. (Ripeto: utopia qui in Italia. Si fa giusto per chiacchierare).

La tessera elettorale dovrebbe cioè diventare una sorta “patente elettorale a punti” il cui punteggio spaziasse da 1 a 30 in funzione di un esame basato su 100 domande fra le più disparate. Non vuoi sostenere l’esame? Vali comunque uno. Esattamente come prima. Il tuo diritto a esprimerti resta intonso. Solo che chi ha deciso di mettersi in gioco e ha dimostrata di valere qualcosa, accettalo, nella cabina elettorale vale più di te. Se la cosa non ti piace, non c’è problema: studia e dai l’esame, così potrai valere di più anche tu.

Il tutto, creando ovviamente un sistema a monte dell’esame, grazie al quale ogni cittadino può prepararsi al meglio. Per esempio, lo Stato potrebbe mettere a disposizione nelle biblioteche pubbliche diverse copie di testi da mille e passa pagine, contenenti una serie di informazioni, nonché esercizi di logica spicciola. Parimenti, si potrebbero tenere corsi, in presenza oppure online, ovviamente ad accesso libero.

Svariate migliaia dovrebbero infatti essere le domande, elaborate da diversi team di esperti di molteplici aree del sapere. Anche pescati all’estero, visto che il Mondo è molto più piccolo di quanto si pensi. Da queste migliaia di domande a ogni selezione/esame se ne dovrebbero estrarre cento, sempre diverse da luogo a luogo e da esame a esame, dando per ciascuna domanda quattro risposte possibili. Tutto sommato, una forma simile a certi quiz a premi televisivi.

A domanda rispondo

Circa la composizione delle 100 domande, almeno il 30% dovrebbe essere composto da esercizi di logica elementare, giusto per soppesare la capacità dei candidati di ragionare, anche se in modo semplice. Il restante 70% delle domande sarebbe invece di tipo culturale. Roba abbordabile, ovviamente, almeno per il 90% dei casi. Quando è salito al potere Adolf Hitler? In che anno Cristoforo Colombo “scoprì” l’America? Ma anche qualcosa di scientifico tipo cosa rende verdi le foglie degli alberi, cosa orbita intorno alla Terra, oppure se NaCl è il sale da cucina o qualche altro composto chimico. Tutta roba cui se uno ha la terza media o segue Focus in TV dovrebbe rispondere facilmente.

Come rapporto fra materie scientifiche e umanistiche, delle 70 domande disponibili metterei 40 per le prime e 30 per le seconde. Come pure prevederei almeno dieci domande su cento di difficoltà medio-alta, 7 di tipo scientifico e 3 di tipo umanistico. Ciò perché, come si vedrà, sono soprattutto le risposte che vanno da 90 a 100 a fare salire molto il peso del voto. Quindi, oltre a penalizzare gli analfabeti funzionali tal quali, si dovrebbe creare un sistema per il quale possano fare pochi danni anche gli pseudo-intellettuali di sinistra, quelli con nostalgie moscovite e stolte idolatrie per la politica decrescista cubana o venezuelana. Quelli, per dire, che invece di tuonare contro Vladimir Putin per il macellaio che è danno la colpa alla Nato per l’invasione dell’Ucraina e per i massacri di civili. Oppure che mandano l’inno dell’Urss al congresso della Cgil, dicendo poi di essersi sbagliati. O ancora quelli che credono si possa produrre cibo senza chimica genetica, o che per salvare il Pianeta dal Global Warming bastino pannelli solari e pale eoliche. E il nucleare? Oibò, il nucleave… Voba spovca e pevicolosa…

Questi soggetti sono spesso colti, a loro modo intelligenti, ma le loro ideologie gli appannano i neuroni al punto da farli comportare da emeriti coglioni. Sono cioè pericolosi e neanche se ne accorgono. Ergo, serve una valvola di sicurezza che mitighi i rischi di avere un governo di intellettuali di sinistra “dura e pura”. Quelli, cioè, che se prendessero il potere ci farebbero fare la fine dello Sri Lanka “100% Bio” nel volgere di un paio d’anni.

Spostare il baricentro verso la scienza ne metterebbe in difficoltà parecchi, poiché molti di loro sono ferrati per lo più in materie umanistiche. Servirebbe in sostanza questo piccolo espediente per ammortizzarne almeno in parte le derive ideologiche di certa parte del popolo italiano.

Come funzionerebbe in pratica

Per ottenere la patente elettorale a punti si dovrebbe sostenere l’esame in qualche sede ad alto livello di controllo (siamo pur sempre in Italia, la Patria dei furbetti dell’esamino…). Due ore sono più che sufficienti. Se però, come detto, non lo si volesse sostenere per motivi personali e/o ideologici, nessun problema: basterebbe recarsi in Comune e sulla tessera elettorale verrebbe stampato d’ufficio un codice a barre che implicherebbe l’equivalenza “una preferenza, un voto”, esattamente così come è adesso. Per chi non volesse sottoporsi ad alcuna valutazione il sistema quindi non cambierebbe. Uno continuerebbe a valere uno. Contenti?

Chi invece volesse giocarsela, provando a contare di più nella vita del Paese, potrebbe presentarsi all’esame dopo essersi studiato i vari tomi ed essersi preparato al meglio. I punteggi in tal caso varierebbero da un minimo di 1,1 per chi rispondesse correttamente ad almeno 51 domande, fino a un massimo di 30 se si è risposto correttamente a tutte e 100. Da zero e 50 la patente elettorale continuerebbe a valere un voto soltanto, esattamente come prima ed esattamente come chi non ha voluto sostenere esame alcuno. Ciò perché la statistica ci dice che, anche rispondendo a casaccio, circa 25 risposte giuste su 100 pur si danno, avendo quattro sole possibilità come risposta.

Se poi due delle risposte sono palesemente fantasiose, la probabilità di azzeccarci, anche se non la si sa, diviene del 50%. Del 33,3% se all’aspirante elettore pare balzana una sola domanda su quattro, permettendogli di escluderla. E poi, qualcuna la saprete pure no? Quindi, se non si superano almeno le 50 risposte giuste, il voto resta sempre e comunque uno. Perché vuol dire che il candidato è davvero scarsissimo. Da 51 in su inizia la progressione (un po’ più che geometrica), partendo da 1,1 e terminando appunto a 30, come da grafico in apertura dell’articolo.

Dall’esame al seggio elettorale

Il “punteggio” così conseguito verrebbe stampato già al momento dell’esame sulla patente elettorale, anch’esso in forma di codice a barre. Con 51 codici differenti si coprirebbe quindi tutta la platea elettorale, da 1 a 30. Al momento del voto, poi, basterebbe leggere con un lettore ottico il codice a barre presente sulla patente e stampare il codice stesso sulla scheda elettorale che viene consegnata all’elettore. In tal modo, con pochi secondi per la lettura e la stampa del codice, si garantirebbe l’anonimato, perdendosi ogni contatto fra elettore e preferenza espressa.

Al momento dello spoglio, basterebbe quindi rilevare la preferenza politica e moltiplicarla automaticamente per il “peso specifico” dell’elettore, sempre utilizzando il medesimo lettore ottico. Il tutto verrebbe registrato in automatico su un server centrale al Viminale, ma anche su molteplici dischi locali, così, tanto per evitare che qualche hacker si metta a giocare coi numeri, falsificandoli. Con tutti quelli che girano a San Pietroburgo agli ordini di Putin, meglio cautelarsi.

Come si vede dal grafico, solo se si supera la soglia del 90% di risposte esatte si può sperare di contare in modo significativo, con la curva che s’impenna proprio sulle ultime dieci domande azzeccate. A 30 punti temo siano davvero pochi gli Italiani capaci di arrivare, me compreso, s’intende. Però, un cittadino che arrivasse a 100 risposte giuste conterebbe quanto 30 analfabeti (o coglioni fatti e finiti). Dura farlo votare aizzandone la pancia contro un barcone di disperati o promettendogli qualche spicciolo a debito, se tale misura affossa poi l’economia del Paese.

I partiti dovrebbero quindi cambiare modo di porsi, abbandonando i mille populismi efficaci solo su chi, a quel punto, nella cabina elettorale varrebbe come il due di picche quando la briscola è cuori. I partiti dovrebbero cioè sposare tesi solide e razionali: quelle capaci di convincere chi davvero pesa sul serio con il proprio voto.

Selezione anche dei candidati

Fatto di non poco conto, la patente elettorale servirebbe anche per selezionare i candidati: se non rispondi correttamente ad almeno 91 domande non puoi candidarti nemmeno per le amministrative (comuni e regioni). Se non arrivi a 96 non puoi essere candidato a Camera, Senato ed Europee. Quindi, anche qui si darebbe una sforbiciata feroce ai millemila cialtroni scappati di casa con cui i partiti hanno farcito il Parlamento, chi di più, chi di meno. Un salto qualitativo impressionante, a mio avviso.

Sistema elettorale semplice

Fatto questo, basterebbe tornare a un sistema elettorale di tipo proporzionale, con soglia di sbarramento al 2%, permettendo in tal modo di arrivare a governi stabili, composti per lo più da persone capaci, cooperanti nell’ambito di un Parlamento di livello decisamente elevato. Sarebbe incentivata anche la nascita di partiti completamente nuovi, poiché nulla vieterebbe a uno di questi di vincere le elezioni alla grande. Magari già al primo giro. Inoltre, minore sarebbe la paura di promulgare leggi scomode e impopolari, se queste sono funzionali alla crescita e al benessere del Paese. Basterebbe infatti che a capirle, quelle leggi, fosse il 5-10% delle persone: cioè quelle che ne capiscono e quindi contano. In estrema sintesi, si metterebbe il turbo anche l’efficienza del Parlamento nel risolvere i problemi.

La perfezione non esiste

Ovviamente, nemmeno questo sarebbe un sistema perfetto. Ci si dovrebbe accontentare. Ma almeno ci sarebbe una terza via da seguire. Perché io sarei anche abbastanza stufo del ritornello secondo il quale “è meglio una democrazia imperfetta di una perfetta dittatura”. Anche perché le perfette dittature sono nate spesso proprio da democrazie deboli e incapaci.

Ma tranquilli: in Italia non si potrebbe mai avere un siffatto sistema. Ma ce li vedete quei cialtroni d’ogni schieramento e grado che si tagliano le gambe mettendo i propri destini in mano a una minoranza di persone capaci e quindi per nulla malleabili con promesse vuote e populismi d’accatto? No, tranquilli: potrete continuare a votare i soliti arruffoni incapaci che avete sempre votato. Poi però non lamentatevi…

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Andrew Tate, Greta Thunberg e priapismi moderni

Disputa al fulmicotone sui social per il duello Tate-Thunmberg, finito a favore di quest’ultima. Ma davvero c’era il bisogno di moltiplicare tali supercazzole?

Andrew Tate, ex kickboxer di fama, provoca Greta Thumberg ostentando 33 supercars dai motori potentissimi e inquinanti. La Svedese risponde con l’espressione “Little Dick Energy” e sui social si scatena il putiferio. Ovvero, come fare partorire alla montagna il classico topolino

Avviso: articolo ad alto contenuto di turpiloquio. No, sai com’è, lo dico per i più sensibili. Ora che vi ho avvisato, potete pure proseguire con la lettura:

Cinico e sessista, ma ricco e famoso. Questo il profilo di Andrew Tate, ex campione di kickboxing e oggi ostentato milionario che ha pure pestato qualche mina giudiziaria, tanto che ora è ospite delle prigioni rumene con l’accusa di traffico di esseri umani più altre varie ed eventuali. Come ci sia arrivato è facile dirlo: nonostante fosse da tempo ricercato da Bucarest, si è fotografato vicino a un cartone di pizza con scritto il nome della catena di pizzerie. In tal modo la polizia rumena lo ha individuato e arrestato. Se non ci fosse da piangere, per la gravità delle accuse a lui mosse, ci sarebbe quindi molto da ridere.

Ma non è tanto l’arroganza spocchiosa di Tate ad avere infiammato i social, bensì la risposta di Greta Thumberg via Twitter: all’imprudente provocazione dell’ex lottatore, la Svedese lo ha infatti invitato a mandarle l’elenco delle sue auto all’indirizzo mail littledickenergy@getalife.com. Ovviamente inesistente. A chiudere lo scambio, dopo l’arresto del babbeo, il tweet da KO con cui Greta chiede a Tate (più o meno): “Lo vedi cosa succede a non fare la raccolta differenziata dei cartoni della pizza?”. Lo sbruffone è stato quindi seppellito da un mare di risate. Ora ha ben altri problemi per la testa, come per esempio farsi la doccia senza lasciar cadere la saponetta.

Da quello scambio, però, è nata una sterile polemica fra sostenitori di tesi opposte: per i primi l’espressione usata da Greta Thumberg sarebbe body shaming e andrebbe quindi considerata sessista; per i secondi no, spammando a raffica link a Urban Dictionary, contenitore di espressioni gergali fra le quali compaiono anche Little Dick Energy e Big Dick Energy, aventi ovviamente significati opposti. A rendere ancor più basso il livello della disputa sono anche giunti gli usuali riferimenti dispregiativi verso i Boomer, prezzemolistica espressione usata per denigrare qualcuno senza peraltro approfondire i motivi del proprio disprezzo.

Leggi in tal senso: Il fascino discreto dei Boomer

Il succo della disputa

La sintesi del buridone esploso su Facebook potrebbe quindi essere: “Ha Greta Thumberg fatto body shaming?”. No, non l’ha fatto. Body shaming è quando sfotti un obeso per la sua mole, o una persona brutta per la sua bruttezza etc. Di fatto, “little dick energy” è un modo per descrivere una mentalità deprecabile. Sia che la sfoggi un uomo, sia che la sfoggi una donna.

Secondo gli utilizzatori di tali espressioni “dick based”, queste non sarebbero quindi accuse esplicite di avercelo piccolo, né per inverso sarebbero complimenti per avercelo grosso. Entrambe le espressioni sottolineerebbero infatti precisi stili di vita e profili mentali/attitudinali. Il primo stile di vita, deprecabile, meriterebbe quindi il “Little Dick”, mentre il secondo, ammirevole, quello del “Big Dick”. In sostanza, Greta non avrebbe detto a Tate che ha il cazzo piccolo, fatto da molti inteso in tal senso, bensì che l’ottuso villano avrebbe un modo di interpretare il mondo alquanto piccolo ed esecrabile.

Ciò che però induce al sorriso non è quanto sopra. Personalmente, l’ho trovata infatti disputa noiosa e fuori da ogni registro. No: ciò che mi ha divertito di più è la convinzione che basti aggiungere una parola come “energy” alle espressioni “little dick” o “big dick” per illudersi di aver inventato locuzioni aggettivali dirompenti e innovative. In realtà, anche queste due recenti espressioni sono allineate all’atavica tradizione umana di usare termini sessuali per raffigurare concetti, anche quando questi con il sesso nulla c’entrino.

L’uso metaforico del fallo nei secoli

Ritiratevi, fate posto al Dio! Perché egli vuole enorme, retto, turgido, procedere nel mezzo!“. Questo il canto del poeta Semos, per come emerge da un’opera teatrale a celebrazione di Priapo e Dioniso messa in scena circa 2.400 anni fa in Grecia. Era l’era delle falloforie, processioni rituali ove sfilavano enormi falli di legno o di altro materiale. L’uso simbolico del membro, specie se di grandi dimensioni, accompagna quindi l’Umanità da molto, molto tempo. Mica ce lo siamo inventati noi, donne e uomini ritenuti un po’ troppo frettolosamente moderni.

Dopo circa 24 secoli, nel linguaggio comune compaiono ancora oggi innumerevoli esempi dell’uso degli attributi sessuali, maschili o femminili, per scolpire in modo netto una situazione, un fatto o una persona. Il cazzo, a conferma, compare un po’ ovunque nell’eterna iconografia umana.

In ossequio a tale costrutto verbale, per esempio, il termine “cazzone” non significa che un tizio abbia il cazzo grosso. Significa che è un tipo che fa le cose in modo approssimativo, impreciso, alla carlona. Nessuno porterebbe l’auto a riparare da un carrozziere definito dai clienti “un cazzone”. Ma non certo per le eventuali considerazioni sulle dimensioni del suo pene. Queste, semmai, potrebbero sì attrarre qualcuno, ma per ben altri motivi.

Anche dire “ho fatto una cazzata” nulla c’entra con il membro maschile. “Ho fatto una cazzata: ho rotto il fanalino dell’auto del vicino!”. Per cazzata si intende infatti un errore sciocco e di poco conto, dovuto più alla distrazione che a un basso livello cognitivo di chi l’ha commesso. Chi ha rotto il fanalino, quindi, mica l’ha infranto picchiandoci contro il cazzo eretto e duro: lo ha sfasciato con una retromarcia poco accorta. Per queste ragioni è quindi inaccettabile colui che dica “Ho fatto una cazzata: ho ammazzato mia moglie”. No caro: non hai fatto una cazzata, si chiama omicidio.

Se poi un soggetto si confermasse più volte inaffidabile, casinista, irresponsabile cosa gli si dirà? Che è una “testa di cazzo”. Oppure che fa le cose “alla cazzo”. Eppure, non esistono mica persone che al posto della testa hanno un glande, né che per lavorare utilizzino il cazzo come strumento professionale (Rocco Siffredi è l’eccezione che conferma la regola). Pare quindi che al povero pisello siano sempre attribuite spiccate attitudini a combinare guai e a mettere in imbarazzo.

L’angolo delle donne

Poi ci sono anche dei concreti apprezzamenti, sempre basati sul sesso. Per esempio, “figata” ha un’accezione positiva. “Sono andato in Val d’Aosta e c’era una neve fantastica! Che figata!”. In pratica, se il cazzo viene abbinato a comportamenti errati e talvolta dannosi (cazzata, cazzone etc.), la figa (o fica per i puristi non milanesi) è utilizzata come sinonimo di cosa bella e invidiabile. Ovvio però che sulle menzionate piste da sci non ci fossero splendide ragazze che sciavano nude con la vulva bene esposta. Trattasi cioè di mero modo di dire.

Analogamente, una donna troppo rigida e stizzosetta verrà definita come “figa di legno“, sebbene i tessuti della sua vulva e vagina siano assolutamente conformi ai requisiti previsti dalla biologia.

Del resto, le persone invidiosette, malmostose e acidule, vengono spesso definite “sfigate”. Maschi o femmine che siano. L’assenza di figa, quindi, viene eletta a sintesi di una vita del tutto insoddisfacente. Ricordo peraltro un tizio che mi contestò l’uso di tale termine riferito a degli squallidi Incel (involuntary celibate) che come al solito accusavano le donne di ogni loro fallimento e tristezza esistenziale. Secondo lui dar loro degli “sfigati” era terminologia stigmatizzabile, poiché ricorreva a paragoni sessuali. Mi ci gioco le palle, tanto per restare in tema, che quel mio detrattore oggi si starà spellando la punta delle dita sulla tastiera per dimostrare che no, Greta non ha detto a Tate che ha il cazzo piccolo, bla bla bla…

Un’attività, questa, in cui ho visto coinvolte anche persone che seguo e che so essere particolarmente innamorate di asterischi e di schwa, in nome di un’inclusività scrittoria che purtroppo per loro rimane impronunciabile. Però, l’uso di un’espressione che contenga “little dick” o “big dick” non pare turbarle affatto. Anzi, la difendono. Misteri dell’orientamento ideologico.

Arrabbiati o incazzati?

Sta un po’ sopra l’arrabbiato, ma un filo sotto l’infuriato: è l’incazzato, ovvero colui/colei che reagisca in modo irritato (e a volte irritante) a fronte di qualcosa a lui/lei sgradita. Chissà com’è nato il parallelismo fra cazzo e rabbia? Mi sfugge. Però, dai, chi in vita propria non ha detto almeno una volta “Sono incazzato nero!”. In una parola: risolve.

Pesare sulle parti intime

Altre opportunità di rifarsi al cazzo per descrivere tutt’altra cosa sono fornite dalle espressioni “stare sul cazzo” o “levarsi dal cazzo”. Nel primo caso è abbastanza intuitivo che se qualcuno ti poggia rozzamente proprio sul cazzo, ti infastidisce. Da qui la seconda espressione, ovvero “levarsi dal cazzo”, sinonimo di togliere il disturbo. Per esempio: “Ok, mi levo dal cazzo…”, dirà l’ex fidanzato quando a una festa vedrà limonare appassionatamente l’ex con la nuova fiamma.

Onanismo o menefreghismo?

Poco te ne cala di qualcosa? O magari vuoi solo far credere che poco te ne cali? Et voilà: “me ne frega un cazzo” o “me ne batto il cazzo” sono già lì, bell’e pronte alla bisogna. Va da sé che la persona non si sta picchiettando ritmicamente la fava, né se la sta fregando con cupidigia. Semplicemente, utilizza per l’ennesima volta il cazzo per esprimere un concetto che con il cazzo nulla c’entra, ovvero la noncuranza per un fatto o una persona. Vera o presunta che sia, ovviamente, la noncuranza.

Sai che la tua ex dice che sei uno stronzo?”, confiderà l’amico al neo-single: “Me ne batto il cazzo di ciò che dice quel tegame…” potrebbe essere la comprensibile risposta. Specialmente se il dialogo si svolga fra Livornesi.

Palle quadre e tipi cazzuti

Proseguendo, si registrano ulteriori parallelismi fra “attributi” e carattere: “Quella donna ha due palle così!”, oppure “Quello è uno con le palle quadre!”. Una volta tanto, per fortuna, anche il cazzo assurge a emblema di carattere forte e deciso: “Tizio è proprio uno cazzuto!”. In tal caso, si sottintende metaforicamente che ce l’ha duro e, ovviamente, anche grosso. E Priapo gongola.

Tanto per cambiare, quindi, gli attributi esterni maschili, palle e cazzo, vengono impiegati per connotare aspetti caratteriali, talvolta negativi, talvolta invidiabili e vincenti. Se non è retaggio maschilista, fallocratico e patriarcale questo, ditemi voi cos’è. Eppure, tali espressioni sono applicate anche alle e dalle donne, le quali ovviamente palle e cazzo non hanno.

Little = booo! Big = wow!

Pare che quanto è stato sopra riassunto a molti vada bene così com’è, senza provocare particolari reazioni indignate. Rari sono infatti i pipponi sui termini “incazzato”, “cazzata”, “cazzone”, “figata”, “testa di cazzo” etc. Né tantomeno si moltiplicano le supercazzole (davvero vi devo spiegare cosa sono?) di chi oggi cita invece Urban Dictionary per i significati ufficiali di “Little Dick Energy” e “Big Dick Energy”. Link, questi, che ho visto condividere su Facebook da una donna alquanto arrogante che a un altro protagonista della discussione disse “Tieni, fatti una cultura anche tu”. Come se stesse trattando con un bimbo scemo da una posizione di assoluta superiorità intellettuale. Se non è spocchia questa…

Un complesso di superiorità che si trasforma talvolta in “uomoragnismo” puro, ovvero l’arte di arrampicarsi su scivolosi specchi retorici. Uno può infatti assegnare arbitrariamente tutti i significati che vuole a delle specifiche espressioni, ma le parole restano lì, scritte in bella evidenza. Non sei quindi avulso da critiche se per descrivere una connotazione positiva usi “Big Dick Energy”, mentre per descriverne una negativa usi “Little Dick Energy”. In sostanza, non basta mettere la parola energy alla fine del modo di dire per cancellare il fatto che il modo di dire stesso abbia come pilastro portante il cazzo. Piccolo o grande a seconda che la persona sia negativa (cazzo piccolo), oppure positiva (cazzo grande). E poi dicono che le dimensioni non contano.

Ciao a tutti e speriamo il 2023 non sia un anno del cazzo

Quindi, al netto della disputa “Tate-Thumberg”, finita nettamente a favore di quest’ultima, meglio sarebbe essere onesti e catalogare come sessista ogni espressione che contenga riferimenti sessuali, diretti o indiretti, espliciti o larvati. Poi, se uno vuol continuare a usarli, poco me ne cala. Io sono decenni che sostengo la tesi che chi cerca la potenza sotto il cofano di una macchina è perché forse ne ha poca nelle mutande. E se anche ne ha, ciò non implica affatto che sia un buon amante. Forse è solo un buon eiaculatore, perché saper fare l’amore è tutt’altra cosa.

La differenza tra me e i pasdaran del web, quelli con il link a Urban Dictionary tatuato sul petto, è quindi banale: io non mi nascondo dietro a un dito. Se devo usare un’espressione sessista (cazzone, cazzata, palle quadre, cazzo piccolo etc.), lo faccio e chissenefrega di quello che pensa di me la gente.

Anzi: che cazzo me ne frega, giusto per concludere il pezzo in modo coerente. E “fatevi una vita”, magari, lo dico quindi io a voi.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Il fascino discreto dei Boomer

Fra le diverse generazioni vi è sempre un passaggio di testimone. I Boomer sono in mezzo, tra passato e futuro: sarà meglio rispettarli di più

La generazione nata fra il 1946 e il 1964 è attualmente usata come emblema di ogni errore compiuto dall’umanità, estendendone l’accezione dispregiativa a chiunque, anche non Boomer, in caso mostri connotazioni di ignoranza, ottusità e arretratezza. Ma è davvero così?

Ottusi, ignoranti, obsoleti, egoisti e inadeguati. Queste in sostanza le caratteristiche attribuite ai Boomer, ovvero i nati fra il 1946 e il 1964. Il disprezzo verso questa generazione è tale da far sì che l’accusa di essere un Boomer viene oggi estesa perfino a chi Boomer non sia dal punto di vista anagrafico. Vuoi dire a una persona, anche giovane, che è un ottuso imbecille? Dagli del Boomer. Tradotto: come trasformare un’intera generazione in insulto generico. Classismo anagrafico allo stato puro.

Peraltro, la stessa espressione “Ok Boomer!”, gettata qua e là sui social, ha senso pressoché nullo, poiché non entra mai nel merito della discussione. Anzi, la chiude in modo arrogante e spocchioso senza apportare alcun contributo fattuale. Ovvero, seguendo le loro stesse logiche, come comportarsi da Boomer senza nemmeno capirlo.

Quindi la risposta è no: i Boomer non sono la montagna di merda che viene descritta. A dispetto dell’astio verso l’intera generazione, va infatti ricordato come questa abbia brillato su diverse correnti scientifiche, sociali e intellettuali. Gli effetti di ciò si apprezzano ancora oggi e, forse, resteranno a imperitura memoria e vantaggio anche delle generazioni che ancora non sono nate.

Errori? Tanti. Come ogni generazione. Ma quella dei Boomer ha lottato con i denti contro lo status quo in cui è nata. A proprio rischio e pericolo, i Boomer hanno spezzato regole sociali opprimenti e discriminatorie, come pure hanno svegliato coscienze più di ogni altra generazione che li aveva preceduti nei secoli antecedenti. Le battaglie per la parità sociale, razziale e dei sessi, ma anche il pacifismo e l’ecologismo, sono infatti letteralmente esplose fra gli anni ’60 e ’70.

Poi, è vero, gli hippy erano persone dalle mille pecche, con la testa immersa nelle utopie fino a soffocarsi loro stessi. Neppure l’uso massiccio delle droghe pesanti va ricordato come un momento felice della storia recente. Molti degli artisti ribelli dell’epoca non hanno infatti superato i trent’anni, portandosi purtroppo con sé milioni di ragazzi che ne avevano imprudentemente sposato gli usi e i costumi. Né l’ecologismo ideologizzato anti-tecnologico e anti-scientifico va guardato con simpatia. Anzi.

Le conquiste sociali

Nonostante le molte pecche di quegli anni, le veementi rivendicazioni sociali di allora hanno però rappresentato gran parte delle fondamenta della società attuale. Diritti che se oggi esistono è soprattutto merito delle donne e degli uomini nati subito prima e subito dopo la Seconda Guerra mondiale. Già, perché la rivoluzione culturale della seconda metà del XX secolo non l’hanno mica fatta solo i Boomer: c’erano di mezzo anche i loro genitori e, per alcuni, perfino i loro nonni.

Vi erano infatti anche dei cinquantenni a condurre le danze quando nel 1968 venne abrogato il reato di adulterio. Molte persone mature, nate nell’Anteguerra, si sono poi battute al fianco dei loro figli, cioè i Boomer, affinché nel 1970 venisse introdotto il divorzio. Io, Boomer per un pelo, avevo 14 anni quando nel 1978 venne regolamentato l’aborto, mentre ne avevo 17 quando il 5 agosto 1981, con la legge 442, vennero abrogate le disposizioni sul Delitto d’onore. Quello per il quale un uomo subiva condanne ridicole se ammazzava la moglie per motivi di corna o di gelosia. In pratica, il femminicidio quasi legalizzato.

Sempre nel 1981 venne abolita anche la norma del cosiddetto “matrimonio riparatore”: squallido sistema grazie al quale un uomo che volesse prendersi in moglie una ragazza non consenziente la stuprava. Tanto poi bastava sposarla e l’onore era salvo. Peccato che così lo stupro ai danni di quella donna sarebbe continuato per tutta la vita.

Tecnologie e affini

Anche sul piano tecnologico i Boomer hanno rivoluzionato il Mondo. Bill Gates, con i suoi software, Steve Jobs, con le sue invenzioni, hanno stravolto il modo di operare. Entrambi nati nel 1955 hanno contribuito significativamente all’informatizzazione del Pianeta. Del 1950 Steve Wozniak, mentre del 1964, al pelo anche lui come Boomer, pure Jeff Bezos. Già: se oggi potete comprare praticamente ogni cosa su una piattaforma commerciale come Amazon lo dovete all’inventiva di un Boomer.

E l’elenco potrebbe continuare a lungo, visto che pure di Premi Nobel ai Boomer ne sono stati conferiti a decine nell’ultimo mezzo secolo: Ahmed Hassan Zewail, Michael Levitt, Gregory Paul Winter, Roger David Kornberg, Brian Kobilka, Kōichi Tanaka, Stefan Walter Hell, Frances Hamilton Arnold, Venkatraman Ramakrishnan, Jennifer Anne Doudna, Thomas Robert Cech… E questo solo facendo una spulciata velocissima e incompleta fra i soli Premi Nobel per la Chimica. Divertitevi voi a cercare gli altri.

Ma, ancora, nemmeno gli scienziati e i giganti dell’informatica di cui sopra sono partiti da zero, avendo essi raccolto il bagaglio di conoscenze accumulatosi grazie al lavoro dei loro predecessori. In pochi ricorderanno infatti quel team di giovani ingegneri italiani della Olivetti, tutti nati prima della Seconda Guerra mondiale, che a Ivrea, in Piemonte, diedero vita al primo personal computer della storia, il P101, presentato nel 1965 New York. Quindi ricordatevi questi nomi: Giovanni De Sandre, Gastone Garziera e Giancarlo Toppi. Perché se oggi state leggendo questo testo su uno smartphone, un tablet o un computer, in buona parte lo dovete a loro, tanto quanto ai Boomer che ne hanno raccolto il testimone. A ulteriore dimostrazione che nessuna generazione è vissuta in un sommergibile: ognuna ha raccolto il testimone da quelle precedenti e lo ha consegnato a quelle successive. Ovviamente, commettendo anche degli errori.

Troppo comodo quindi dare ora ai Boomer ogni colpa per il problema laqualunque, dai cambiamenti climatici alla crisi economica. Troppo facile dirla con le parole di Greta Thunberg: “Avete fatto voi questo casino ora tocca a voi rimediare”. Un modo sfacciato di tenersi la parte più facile del processo: la protesta.

Magari sarebbe cosa buona e giusta ringraziarle pure le generazioni precedenti, Boomer inclusi, per le cose buone da loro fatte: solo 170 anni fa la mortalità infantile 0-5 era intorno al 40%. Oggi non arriva al 4 per mille. La pellagra, la tubercolosi, la fame cronica sono solo lontani ricordi per la quasi totalità della popolazione occidentale, così come le malattie legate alla povertà, alla scarsa nutrizione e alle condizioni igienico sanitarie scadenti. Vi sono cure e strumenti oggi del tutto impensabili solo 50 anni fa. Le aspettative di vita si sono dilatate, come pure un giovane di oggi può girare il Mondo mentre i suoi nonni e genitori non sono forse mai usciti dalla propria Regione.

Noi Boomer, peraltro, non siamo mica gelosi di ciò che abbiamo fatto, perché in fondo, essendo nostri figli e nipoti, lo abbiamo fatto anche e soprattutto per voi. Abbiamo commesso errori, sì, ma non siamo né migliori né peggiori di voi. Vi abbiamo solo preceduto, come voi state precedendo chi verrà. Potrebbe essere quindi divertente pensarvi fra 30-40 anni, quando a subire la spocchia e l’arroganza giovanile sarete voi, esattamente come noi stiamo oggi subendo la vostra.

Quindi, la prossima volta che vi verrà in mente di sbottare “Ok Boomer!”, pensateci magari due volte. Perché prima o poi, i Boomer sarete voi.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Finlandia: e se invece di Sanna Marin il Primo Ministro fosse stato Markus Räikkönen?

Su Sanna Marin è un vero testa a testa fra opposti schieramenti: maschilisti contro femministi. Proviamo a divertirci ribaltando l’ordine dei fattori

Bufera mediatica su Sanna Marin, Premier finlandese, per una serie di comportamenti ritenuti da alcuni inaccettabili e da altri perfettamente leciti e lineari. Ma se in una dimensione parallela il Primo Ministro finlandese fosse stato Markus Räikkönen, marito in questa dimensione di Sanna Marin, cosa sarebbe successo?

Sanna Marin è la 37enne Primo Ministro della Finlandia. Moglie di Markus Räikkönen, anch’egli 37enne ed ex calciatore finlandese, nonché madre di una bimba di quattro anni, Sanna Marin si è trovata sotto attacco più volte negli ultimi mesi per alcuni comportamenti e abbigliamenti ritenuti da alcuni poco consoni al suo ruolo. Altri l’hanno invece difesa a spada tratta in nome della libertà di una giovane donna di divertirsi e di essere come meglio le pare, indipendentemente dalla carica istituzionale che ricopre. Il tema non è di particolare interesse, visto che le fazioni che si contrappongono sul tema Sanna Marin sono sempre le solite: conservatori un po’ bigotti destrorsi contro pseudo-intellettuali sinistrorsi.

La fantasia è però una bellissima dote e a volte vale la pena usarla per immaginare cosa potrebbe succedere se in una dimensione parallela i ruoli fossero ribaltati. Per esempio, se sul pianeta Arret, posto al di là di un buco interdimensionale, fosse Sukram Nenökkiär a coprire il ruolo di Primo Ministro del Paese di Aidnalnif, mentre Annas Niram fosse la first Lady, parimenti madre ma senza cariche pubbliche. Di lei si sa solo che è una ex atleta di fama nazionale e oggi manager in area marketing. Discreta e riservata non ha fornito informazioni su genitori, fratelli o sulle sue qualifiche accademiche, né è mai stata coinvolta in alcun tipo di controversia o chiacchiericcio. La first lady perfetta.

Il Paese di Aidnalnif

Figura politica emergente di Aidnalnif, Sukram Nenökkiär viene chiamato a sostituire il neo-eletto Primo Ministro Emir Ittna, che gli aveva affidato il ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni salvo doversi dimettere dopo sei mesi per una controversia salariale all’interno del servizio postale. Il subentro di Sukram al dimissionario Ittna evita lo scioglimento della coalizione e permette al Governo di andare avanti.

Dall’aprile 2019, data delle ultime elezioni, il Partito Socialdemocratico conta su 40 seggi su 200. Solo un seggio più giù, con 39 poltrone, segue il partito dei Veri Isednalnif, dall’orientamento nazional-conservatore ed euroscettico. Ancora un gradino più giù, con 38, il Partito di Coalizione nazionale, di stampo liberista e orientato al conservatorismo liberale. Collocabile anch’esso nel centro-destra, almeno è filo europeista. Più staccato, con 31 seggi, il Partito di Centro, anch’esso orientato al liberalismo europeista. Analogamente ai Veri Isednalnif nacque in area agricola, divenendo poi partito che ha abbracciato tutte le classi sociali del Paese. I Verdi, da parte loro, contabilizzano 20 seggi, quindi una presenza abbastanza significativa.

Ovviamente, sempre Verdi sono: nel 2014 era uno dei quattro partiti che formava il Governo Stubb, ma nel settembre di quell’anno passò all’opposizione a causa del voto favorevole del Governo all’apertura di una nuova centrale nucleare, la quarta nel Paese. Grazie a quel voto, oggi Aidnalnif è uno dei Paesi del suo continente con il maggior grado di autonomia energetica, proprio nel corso delle forti tensioni dovute alla solita guerra di invasione operata dall’Urssia ai danni della vicina Aniarcu. A dimostrazione che i Verdi restano le solite teste di pinolo anche nelle dimensioni parallele.

Altri partiti minori sono l’Alleanza di Sinistra (unione del Partito Comunista, della Lega Democratica Popolare e della Lega Democratica delle Donne), con 16 seggi, seguita dai Popolari di una minoranza Esedevs, con 10. Infine i Democratici Cristiani con 5, anch’essi orientati al conservatorismo liberale.

Sono stati quindi necessari complessi negoziati prima di dar vita a una “coalizione mosaico” tendenzialmente di centro-sinistra, composta da PSD, Centro, Verdi, Alleanza di Sinistra e Partito della minoranza Esedevs. Una maggioranza decisamente composita che però così facendo annovera 117 dei 200 seggi disponibili.

Le prossime elezioni saranno nell’aprile 2023, quindi, il Primo Ministro subentrato, Sukram Nenökkiär, sarebbe bene camminasse sulle uova, anche perché ultimamente ha dovuto chiedere che Aidnalnif venisse ammessa in un’Alleanza militare internazionale storicamente contrapposta alla sfera Urssa, area geopolitica da sempre in mano a delinquenti militaristi con il vizio di invadere i Paesi vicini con la scusa di liberare le minoranze ursse locali e di denazificare territori.

La mossa del governo di Aidnalnif, confinante proprio con la Urssia, non è ovviamente piaciuta al criminale che attualmente presiede il barbaro Paese, ovvero Rimidalv Nitup. Un tempo Aidnalnif era infatti parte integrante della Urssia e l’attuale presidente Nitup ha esternato più volte l’intenzione di riportare il suo Paese alla “Grande Urssia” di una volta. Cioè quella in cui Aidnalnif ne faceva parte. Molti anni prima la Urssia aveva anche provato a invadere Aidnalnif, ma senza successo. Insomma, quella attuale è una rischiosissima situazione di merda come raramente il ridente paese di Aidnalnif aveva mai sperimentato prima. A conferma, la ricerca di una protezione superiore offerta appunto dall’Alleanza militare internazionale a cui Aidnalnif ha chiesto di unirsi.

Sukram Nenökkiär ha per giunta 37 anni, quindi è tutto tranne che un ragazzino, nonostante i suoi sostenitori insistano a proporlo come “giovanissimo”. Sebbene in politica la sua età non sia certo “avanzata”, l’anagrafe lo colloca infatti a pieno titolo fra gli adulti fatti e finiti. Sposato con una splendida moglie ha pure una bellissima bimba di soli quattro anni. Ci si aspetterebbe quindi comportamenti pubblici specchiati e indirizzati alla massima prudenza, responsabilità e serietà, vuoi per lo status anagrafico e matrimoniale, vuoi per l’altissima carica istituzionale che ricopre.

Invece, nell’incredulità nazionale e internazionale, nel dicembre scorso entra per la prima volta nell’occhio del ciclone per motivi francamente evitabili. In tale occasione lo si scopre infatti uomo alquanto incline ai divertimenti notturni, ai quali si dedica senza troppi patemi, né come padre di famiglia, né tanto meno come Primo Ministro. Se però i rapporti con la moglie Annas sono esclusivamente affari dei due coniugi, il suo ruolo politico rende i suoi comportamenti affari di tutti.

Per giunta, quella volta si era dedicato fino a notte fonda alle gozzoviglie ballerine in un night club nonostante fosse entrato in contatto con un positivo a una malattia virale che anche nella dimensione parallela ha fatto morti e feriti, chiamato Divoc-19. Peggio nel peggio, sembra che non avesse con sé manco il cellulare, cosa che ne avrebbe reso più difficile il reperimento in caso di emergenza nazionale.

Vedendo che la cosa è poi emersa in modo dirompente, Sukram si è scusato per il proprio comportamento, promettendo di stare più attento in futuro. Sarà, ma intanto pochi mesi dopo finisce ancora sui giornali per un abbigliamento che in molti reputano poco consono. Lecitamente appassionato di musica Rock, Sukram si fa fotografare con anfibi, jeans strappati a brandelli, canottierina e chiodo d’ordinanza. Un look che molti hanno reputato inidoneo a un uomo della sua età e con il profilo di cui sopra. Insomma, se a 37 anni ti vesti come un ragazzino di 17, in piena tempesta ormonale e in ribellione adolescenziale, non è che poi ti puoi aspettare di ricevere solo complimenti. E infatti, Sukram viene sculacciato da molteplici fonti. Pochi infatti lo difendono: da un uomo di 37 anni, per giunta Primo Ministro, in molti si aspettano un comportamento decisamente più maturo.

Indifferente a tutto ciò – anzi, quasi compiaciuto per il dibattito acceso dal suo abbigliamento da adolescente metallaro – nel volgere di un altro paio di mesi Sukram ricasca nelle feste private, compiendo per giunta la superficiale leggerezza di farsi filmare da più persone mentre balla scatenato, visibilmente su di giri, esibendosi in danze erotico-alcoliche in cui appare davvero risibile la distanza di sicurezza fra lui e diverse avvenenti signorine. Insomma, nulla di veramente compromettente, ma comunque abbastanza per farlo sembrare il solito vitellone in libera uscita che se usa i neuroni per ballare non gliene restano abbastanza per pensare. Tipico degli uomini, no? O per lo meno, molte sono le persone che la pensano così.

Come facilmente prevedibile, subito dopo la diffusione dei video piovono accuse d’ogni tipo. Lui, marito e padre, che sta in giro fino all’alba intrattenendosi con danze e libagioni… e la moglie? Dov’era la povera donna? Si sa come sono fatti gli uomini! Certamente lei sarà stata a casa a curare la bambina! Questa, ovviamente, è la spiegazione più facile da trovare.

Nessuno sa in effetti cosa stesse facendo e dove fosse la coniuge mentre il marito gozzovigliava nel privé di una discoteca, senza peraltro troppi freni inibitori. Magari il week-end dopo sarebbe toccato a lei uscire con gli amici. Ma il solo fatto che lui fosse lì a darsi ai bagordi, per giunta senza la moglie, è bastato a crearne l’immagine di eterno Peter Pan dallo scarso interesse non solo per la figura di merda causata da quei video, bensì neanche per l’imbarazzo che avrebbero patito moglie e figlia vedendolo protagonista di quei video medesimi. Una moglie che dai progressisti di Aidnalnif viene quindi descritta come vittima incatenata al ruolo di madre e di guardiana del focolare domestico. Un ruolo ovviamente impostole da quell’irresponsabile maschilista, esponente di quel patriarcato che ammorba anche il pianeta Arret.

Per contro, le ali più maschiliste del Paese cercano di difenderlo in tutti i modi, derubricando le sue scorrerie come innocenti prese di libertà individuali sulle quali nessuno ha diritto di aprire bocca. Del resto, nel vicino Paese di Bananolandia una vecchia e spregiudicata bagascia fissata con il sesso derubricava come “cene eleganti” dei veri e propri puttanai. A questo si sono poi aggiunte le becere esibizioni in spiaggia di un’altra figura politica, Aettam Inivlas, Ministra degli interni dello stesso Paese di Bananolandia.

Buffo: dalle stesse persone che avevano stigmatizzato ferocemente gli eccessi balneari di costei, mostratasi al mondo nel più volgare dei modi, ci si sarebbe aspettati che altrettanta brutta figura venisse ora attribuita a Sukram, con l’aggravante che il suo ruolo è ancor più prestigioso di quello della collega Bananoladiense, appassionata di salsicce, bei fustacchioni e mojito. Invece no. Un curioso caso di doppiopesismo nel quale la vita pubblica e privata di un personaggio politico possono valere di più o di meno a seconda che questo personaggio sia maschio o femmina. Anche Arret, a quanto pare, è un Pianeta un po’ strano…

Tranne che per questi pochi, strenui e bizzarri difensori di Sukram, pressoché unanimi sono quindi piovute le critiche verso il Primo Ministro. Critiche diverse nei modi, ma convergenti sull’obiettivo: il centro-destra di Aidnalnif non ha infatti perso l’occasione per cavalcare la situazione, facendo il possibile per screditare il Primo Ministro più di quanto si sia già screditato da solo agli occhi di ampie fette della popolazione.

Sukram si è infatti dimenticato che almeno in teoria dovrebbe essere il Primo Ministro di tutti, non solo di quelli del suo schieramento politico e ideologico. Cioè quei sodali di partito che ufficialmente dichiarano di non trovarci nulla di male se lui si comporta come uno studentello al primo anno di università, lontano dal controllo dei genitori. O, almeno, così i suoi colleghi più stretti si pongono ufficialmente nei confronti dei media. In realtà, anche loro stessi lo considerano un perfetto cretino, perché solo un cretino può farsi riprendere con i telefonini mentre si diverte come fosse a un addio al celibato, senza pensare che un uomo nella sua posizione non può permettersi il pubblico ludibrio del web.

Inutili peraltro si sono rivelati gli sforzi di alcuni accalorati fan di Sukram, i quali si sono illusi di sostenerlo filmandosi a propria volta in guisa ballerina e postando poi i video sui social. I poveri taddei non riescono infatti a capire che loro sono loro, cioè non contano un cazzo, mentre lui è lui: è il Primo Ministro, non l’elettrauto sotto casa. Se non si capisce questo punto si è parte del problema. E a non averlo capito pare che ad Aidnalnif siano purtroppo in parecchi.

Critiche asprissime sono infine giunte anche dal mondo femminile, poiché dai, sei un uomo sposato di 37 anni Sukram! Ma quando cresci? E tua moglie, poveretta? Ad aspettarti a casa mentre tu chissà che combini in giro, maschilista che non sei altro! E in effetti, la moglie Annas si è dimostrata anche in tal caso molto più matura e responsabile del marito: nessuna dichiarazione sui social. Profilo basso e silenzioso. A dimostrazione di quanto sia molto più consapevole lei della delicata posizione di Primo Ministro del marito. Una posizione che impone una vita avulsa da comportamenti che possano generare imbarazzi e dare pretesti agli oppositori politici. Brava Annas: al prossimo giro spero eleggano te al posto di quell’eterno ragazzino del tuo coniuge.

Insomma, tranne che per pochi ostinati permissivisti in chiave maschilista, Sukram è ormai letteralmente coperto di merda. Da un uomo della sua età, in effetti, ci si aspetterebbe molta più serietà, nonché più rispetto per l’immagine pubblica dovuta al proprio ruolo nazionale e internazionale. Per esempio, se l’Ursso Rimidalv Nitup, approfittando delle scorribande festaiole di Sukram, decidesse di varcare a sorpresa i confini? Che fai, Sukram? Bisogna aspettare che ti si sia abbassato il tasso alcolico e ti sia fatto una doccia con caffè triplo prima di sapere tu, Primo Ministro, cosa pensi di fare? O bisogna attendere che ti svegli a metà pomeriggio, con la bocca che sembra cartavetro e un mal di testa da abbaiare in dialetto?

No, caro Sukram, sei proprio il solito maschietto irresponsabile che non vuole mai crescere. Uno tutto chiacchiere e superficialità. Cazzo! Non sei il panettiere del quartiere, né sei un single di vent’anni in vacanza a Mykonos (in ogni dimensione parallela c’è un’isola chiamata Mykonos in cui ci si può divertire come pazzi, sapevatelo!). Il giudizio su di te, uomo, è pressoché unanime: hai mancato di rispetto a tua moglie, a tua figlia e al Paese intero, facendo vergognare gran parte di chi ti sta intorno per l’imprudente immaturità con la quale ti sei cacciato in una tale fogna mediatica.

Ad aprile 2023, infatti, a causa tua il tuo schieramento politico rischia di presentarsi indebolito alle prossime elezioni. La politica di Aidnalnif potrebbe assistere cioè alla crescita dei partiti conservatori, con tutti i rischi che una deriva a destra può portare in un contesto come quello in cui la ridente nazione si trova: fra incudine (Rimidalv Nitup) e martello (Alleanza militare internazionale), Aidnalnif non può infatti permettersi un Governo che contraddica le posizioni prese ultimamente a livello internazionale. Ma questo è ciò che si rischia avvenga. E molto di ciò potrebbe essere a causa tua, Sukram. Quindi diciamocelo: come uomo di Stato ti sei proprio comportato da perfetto coglione.

Poi, all’improvviso la fantasia finisce, ci si ritrova sulla Terra e, per fortuna, il Primo Ministro della Finlandia è una donna. Quindi tutto a posto e avanti così.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Analfabeti funzionali: impossibile capirsi

Così come un computer con processore 386 sx, del 1990, non può comunicare con un moderno PC con Intel Core i9, un analfabeta funzionale non può comunicare con chi è più intelligente e colto di lui. E viceversa, purtroppo

Pandemie, agricoltura, tecnologie, ambiente, società, politica ed economia. Molteplici i fronti di scontro fra chi sa e chi s’illude di sapere. Un dialogo che non potrà mai funzionare. Sarà bene accettarlo

Hai voglia di dire che bisogna comunicare meglio. Facile a dirsi, pressoché impossibile a farsi. Per quanto uno si sforzi di esprimere concetti complessi tramite esempi semplici, i limiti degli interlocutori possono essere così vistosi da rendere impossibile lo scambio di informazioni. Per certi versi, anche in senso bidirezionale. Per esempio, basta un post nella pagina di La Repubblica in cui si dà spazio all’Oms che sostiene la necessità di fermare i mercati di animali vivi, specialmente di mammiferi, al fine di prevenire nuove pandemie nel prossimo futuro.

Del resto, il Covid-19 ha reso celebre il libro di David Quammen, “Spillover”, in cui il saggista riassume diversi casi di agenti patogeni passati dagli animali selvatici ad altri, magari allevati, come i cavalli australiani riportati nel libro, e infine all’uomo. Tipo un virus, con cui dei pipistrelli convivevano da chissà quanto tempo, che passa attraverso un ospite intermedio e approda infine a un essere umano, dando vita a una fra le più drammatiche pandemie della storia, seconda forse solo alla Spagnola di oltre un secolo fa.

Che tutto ciò potesse succedere, del resto, lo anticipava già nel 2015 la virologa Zhengli-Shi, direttrice del “Center for Emerging Infectious Diseases of the Wuhan Institute of Virology”. Già, quello di Wuhan, cioè il laboratorio accusato di aver sparso il virus. Tramite una pubblicazione, lei e i suoi colleghi anticipavano con largo margine la preoccupazione che un virus simile a quello della Sars potesse fare il salto di specie e scatenare un’epidemia. In linea con tali previsioni si sono mostrati anche il succitato Quammen, uscito nel 2014, come pure personaggi pubblici come Bill Gates e Barack Obama, i quali diversi anni or sono già paventavano la possibilità che una pandemia dilagasse per il mondo a causa dei fitti scambi dovuti alla globalizzazione.

Forse che a tali soggetti venga oggi riconosciuto il merito di aver previsto con ampio anticipo gli attuali scenari? Macché, l’AF (analfabeta funzionale) continuerà a sostenere che il Covid è un prodotto di non meglio precisati progetti malefici di lungo termine, orditi da ancor meno specificati poteri forti, di cui Obama, Gates, Zhengli-Shi, e magari pure il povero Quammen, farebbero parte. L’Oms? Per quanto si possa criticare l’Organizzazione per le molteplici falle e opacità, di certo non la si può ritenere parte di un tale psichedelico complotto.

Ma l’AF non si limita a questo. Sotto al post di La Repubblica arrivano subito frotte di vegani e vegetariani che ribaltano i contenuti della notizia. L’Oms si è infatti espressa sul tema dei mercati brulicanti di mammiferi selvatici, catturati in Natura e venduti vivi senza alcun controllo sanitario. Questi, in particolare, per l’Oms rappresenterebbero un rischio reale per la comparsa di nuove malattie anche in futuro. Ed ecco che arrivano gli stormi di eco-veg a tuonare contro gli allevamenti nostrani, come se il Covid fosse nato a Cremona in una stalla di bovine da latte. Inutile, non ce la possiamo fare.

Ma cosa c’entrano gli AF, il Covid e la zootecnia con l’informatica? C’entrano, c’entrano. Il mio primo computer era un baracchino con processore 386 sx, un trabiccolo da 20 MB di disco fisso, 2 MB di Ram e un “clock” da pochi Hertz. Entro pochi anni si approdò al 486, mentre oggi molti PC fra i più evoluti possono contare su processori tipo l’Intel Core i9, più un Tera di hard disk, 16 GB di Ram e una frequenza da 2,4 GHz. E non sono nemmeno loro il top, a quanto pare.

Eppure, con il mio 386 sx ci scrissi la tesi di laurea e pure quella di dottorato. Aveva Word, Excel e qualche piccolo programma di grafica, antesignano dell’attuale Power Point. Certo, le funzionalità erano minime. Però faceva comunque il suo lavoro. Ancora oggi, peraltro, funzionerebbe e permetterebbe di scrivere lettere e tenere i conti di casa. Ovviamente, non consentirebbe di navigare su internet, né di gestire una casella di posta elettronica. Né si potrebbe interfacciare con il resto del mondo informatico, poiché ormai troppo obsoleto. Non sarebbe infatti in grado di aprire i file dei medesimi programmi, poiché talmente evoluti da non essere più gestibili con un assetto così minimale. Peraltro, lo spazio sull’Hard Disk sarebbe così poco che manco ci starebbero, certi programmi.

Il problema è però che nemmeno i computer più evoluti sarebbero in grado di capirlo, il mio vecchio baracchino. Si sarebbero infatti così modificati nel tempo da non riuscire più ad aprire e utilizzare i vecchi file, sebbene molto più elementari e leggeri degli attuali. Una forma di incompatibilità bidirezionale che renderebbe del tutto inutile un confronto, un qualsivoglia interscambio.

Con gli analfabeti funzionali accade più o meno la medesima cosa. Non hanno l’Hard Disk, né la Ram, né i GHz necessari per comprendere (aprire) le informazioni che pur li circondano, in quanto più complesse di quanto loro stessi si possano permettere. E così, impermeabili a qualsivoglia spiegazione fattuale, continuano a interagire fra loro, all’interno di bolle surreali dove tutti sono più o meno dei 386 sx, illudendosi in tal modo che quello, il loro, sia il mondo reale.

Di più: essendo molto più numerosi gli AF delle persone eccellenti, si realizzerà uno scenario così distorto per il quale saranno questi ultimi ad apparire come dei disadattati. Una minoranza, infatti, resta pur sempre una minoranza. E la democrazia, purtroppo, sebbene sia migliore di una dittatura, mostra pecche e “bug” di sistema sempre più preoccupanti. Bug che stanno peggiorando col progredire delle tecnologie, divenute nel tempo armi di distruzione di massa nelle mani, appunto, degli AF. Ciò perché le attuali tecnologie sono sufficientemente semplici per essere utilizzate, ma troppo complesse per essere comprese nei loro pro e contro. Dare in mano a una scimmia un mitra carico e senza sicura, del resto, credo non sia affatto cosa buona. Ma è questo che più o meno sta succedendo da qualche anno nella società moderna.

Non a caso, secondo la follia dell’uno che varrebbe uno, gli AF sono riusciti a mandare nei parlamenti regionali e in quello nazionale una miriade di cialtroni senza né arte né parte, ma che ne rispecchiavano il loro stesso profilo. Il risultato, è stato quello di doversi confrontare (spesso subendoli) con dei mezzi matti antivaccinisti, complottisti, negazionistipseudo-ecologisti e ogni altra categoria di sbullonati che ha però l’arrogante pretesa di gestire interi settori dell’economia e della società, sebbene non sappia fare nemmeno una “o” col bicchiere né comprendere concetti poco più che “basic“.

Tale deriva ha peraltro indotto una degradazione anche della classe politica. Se infatti so che prenderò più voti a scatizzolare nelle pance degli stolti e degli ignoranti, molto più numerosi dei colti e degli intelligenti, anche io politico mi adeguerò, facendo leva sui populismi più beceri e scellerati, anziché sforzarmi di fare la cosa giusta. Perché la cosa giusta difficilmente verrebbe compresa, anzi.

Diverso sarebbe se nella cabina elettorale un 386 sx contasse un terzo di un 486 e un quinto di un Intel Core i9. In tal caso, si ribalterebbero gli scenari e i migliori tornerebbero a decidere del Paese al posto dei peggiori. Come conseguenza, anche la classe politica si dovrebbe adeguare, selezionando candidati di altissimo livello anziché qualche scappato di casa che nega lo sbarco sulla Luna, oppure qualche bottegaio ignorante che parla solo in dialetto e ha fatto soldi evadendo il fisco.

Come dite? La scuola dovrebbe far sì che in poco tempo spariscano i 386 sx e tutti possano essere degli Intel Core i9? Con i libri di testo che girano oggi per elementari e medie, nonché certi insegnanti divenuti loro stessi profeti di molteplici pseudo scienze?

Facciamo che la pagina “barzellette” non mi va proprio di crearla. Poiché se uno nasce 386 sx, non può morire Intel Core i9. E ormai va ammesso il fatto che saranno loro a vincere la guerra, facendo sprofondare il mondo occidentale in una spirale auto distruttiva dalla quale, una volta toccato il fondo, ci vorranno decenni per risalire. Forse.

Sarà bene farsene una ragione: il futuro è degli analfabeti funzionali. E toccherà subirli fino alle macerie finali.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Confessioni di un ex blastatore

Ci sono gatti, cani e… tanti asini

Come vivere sereni in un Mondo di leoni da tastiera, diventando più produttivi ed efficaci nel proprio lavoro di giornalista e divulgatore scientifico

Confesso: mi divertiva molto blastare gli imbecilli sui social. Sapete, quelli che non sono neppure in grado di capire l’abc di ciò di cui tu sei l’esperto, ma pretendono di contrastarti ricorrendo agli insulti o buttando lì qualche link pescato nei siti dei cazzari che soddisfano i loro bias cognitivi. Ecco, quelli.

Sì, mi divertiva molto. Meno mi divertiva dar di machete ai disonesti i quali, al contrario, sapevano benissimo di cosa io stessi parlando, ma avendo investito la propria vita sui business cialtroni che stavo smontando, non potevano fare altro che reagire in modo violento e sprezzante, talvolta diffamatorio. Tipico del cane che stia difendendo l’osso.

E proprio questo modus operandi da cani rabbiosi mi ha ricordato una lezione che m’impartì una gattina che per qualche tempo abitò con me, dopo averle curato il bacino in frantumi causa investimento. Si chiamava Magò, bianca e nera, col pelo morbido e l’aria furba. Tanto furba che amava pure divertirsi. Il nostro giardino era infatti separato da quello dei vicini da una rete di metallo plastificato. Quelle verdi, uguali a tante altre. Al di là di essa bighellonava un cane lupo, bello, ma scemo come un sasso.

Quando Magò si annoiava, e capitava spesso, andava sul balcone e scendeva in giardino tramite la scaletta che le avevo costruito. Si avvicinava tutta claudicante alla rete e poi camminava mollemente su e giù, con noncuranza tipica felina. Lui, lo scemo che odiava i gatti, partiva come lanciato da una fionda, abbaiando come un ossesso. Arrivato alla rete con l’irruenza di uno tsunami e non potendo raggiungere la gattina, la seguiva saltellando di lato, spostandosi quasi fosse un granchio peloso mentre lei passeggiava distaccata, andando su e giù ostentando un irritante snobismo. E lui dietro, coi denti fuori e la bava che gli colava dalle labbra.

Un giorno Magò deve però aver trovato noioso quel gioco e decise di alzare la posta. Si recò alla rete, ma non passeggiò. Stette lì, ferma, seduta sull’erba con la coda arrotolata sulle zampe. Ed aspettò lo scemo. Proprio in quanto scemo, il cane non tardò a partire come un bisonte delle verdi praterie. Il fatto che Magò stesse immobile, però, lo disorientò. Era abituato a seguirla lungo la rete, passo passo. Invece quel giorno lei sembrava una statua. Tetragona a ogni latrato.

Lui arrivò lanciato come un treno, schiacciando il muso contro la rete nel vano tentativo di avvicinarsi il più possibile alla gatta. Errore fatale: il naso sporse in quel modo dalla rete, verso di lei. La ricordo come in un rallenty: non soffia nemmeno, non contrae un muscolo più del necessario, alza la zampa con gli artigli già sfoderati e sgrinfia il tartufo dell’idiota con tutte e quattro le lame retrattili. Lo stolido bestione saltò indietro con una smorfia di dolore e i guaiti lo accompagnarono sino alla cuccia, nella quale si rifugiò con una velocità che avrebbe fatto invidia a un levriero da corsa.

Ecco, la voglio tenere nel cuore così, la mia Magò. La voglio ricordare mentre risaliva la scaletta di legno con quell’aria nobile e distaccata. La vittoria apparteneva già al passato e il povero cagnaccio non meritava più nemmeno il suo ironico disprezzo.

Una lezione che ho deciso di mettere in pratica oggi: fra me e loro, i ciarlatani, i cretini, gli ignoranti e i disonesti, ho eretto la medesima rete. Non voglio più avere nulla a che fare con siffatta sub-umanità, con i loro denti gialli futilmente sguainati e la bava alla bocca che schiuma fin sulle zampe. Mi hanno annoiato. Prenderli a schiaffoni non mi diverte più. Quindi i miei artigli li uso per colpirli sul naso con i miei articoli, i miei dati, le mie fonti ufficiali e la bibliografia che gonfia ogni giorno di più il mio già robusto arsenale.

So che molti di voi si divertivano – e parecchio – a vedermi stracciare sui social i poveracci di turno, ma per lo stesso motivo per cui non si può sperare che un gibbone comprenda le equazioni di secondo grado, ho smesso di sprecare tempo con chi viva in mondi paralleli partoriti da fantasie malate. Presente quelli che sostengono che se tiri un mattone fuori dalla finestra questo vola verso il tetto anziché cadere sul selciato? Ecco, quelli. Quelli che se anche glielo spieghi con garbo come stanno le cose, prove alla mano, ti odieranno comunque. Perché anche se non glielo dici espressamente che sono dei cretini, ogni tuo dato, ogni tuo grafico, ogni tua tabella, risuonerà nelle loro orecchie come un martello che batte in testa e ride: “Cretino… cretino… cretino…“. E a nessuno piace l’idea che qualcuno gli dimostri che è un cretino anche senza dirglielo. Soprattutto se lo è davvero. Non esiste infatti più cieco del cieco che si copra gli occhi da sé.

Quindi fine dei blast. Basta con le zuffe fini a se stesse. Una bella rete fra me e loro e via: solo ricerche e articoli. Cioè il mio lavoro.

Solo una speranza: che una macchina non mi faccia fare anzitempo la fine della povera Magò.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

Covid-19: una lezione dall’entomologia agraria

Non c’è alcunché da festeggiare: ficcatevelo in testa

L’attuale fase mostra un calo costante dell’epidemia. Ma le persone accorte guardano già al prossimo futuro, perché l’autunno arriverà fra pochi mesi e molto dipenderà da come ci comporteremo tra primavera ed estate

Cosa c’entreranno mai con il Covid-19 dei parassiti come Cydia pomonella, Anarsia lineatella od Ostrinia nubilalis, la prima flagello di mele e pere, la seconda di pesche e albicocche e la terza delle pannocchie del mais? Molto più di quanto si possa pensare, perché anche loro compiono cicli e se non si falcidiano alla prima comparsa le conseguenze possono divenire disastrose.

Oggi il virus pare scemare progressivamente. Calano i contagi, calano i ricoveri e calano finalmente i decessi. Il tutto però con una lentezza esasperante, visto che per scendere stabilmente al centinaio di morti inferiore ci si mette circa una settimana. Ora stiamo oscillando sopra i 300, mentre fino a qualche giorno fa cavalcavamo la soglia fra 300 e 400 e una settimana prima si stava in equilibrio fra 400 e 500. Continuando così, ci vorranno quindi ancora diverse settimane affinché i decessi rientrino nell’ordine delle poche decine. Ciò significa alcune migliaia di funerali ancora da celebrare nell’arco di circa un mese.

Anche i contagiati scemano in modo lentissimo. Il tutto, sapendo che i dati ufficiali sono ampiamente sottostimati rispetto ai numeri reali che non sapremo mai. Centinaia di migliaia, probabilmente, se non sopra il milione. E anche i contagi stanno calando di poche migliaia al giorno. Ci vorrà quindi molto tempo per raggiungere un plateau in cui i numeri siano contrenuti.

E sarà proprio lì che si giocherà la partita più importante per il futuro, la battaglia che non si può perdere se si vuole vincere la guerra. Sarà cioè proprio quel momento in cui si teme invece molti brinderanno a una vittoria che se non verrà gestita accuratamente rischia di divenire effimera e beffarda nel volgere di 3-4 mesi. Una Stalingrado sanitaria dalle vittime incalcolabili.

 

Ergo: e gli insetti?

Andando così le cose, possiamo considerare il ciclo del virus come emulo del ciclo vitale di alcuni lepidotteri le cui larve parassitizzano le colture agrarie. Questi compiono più cicli l’anno, con il primo di solito poco rappresentativo e quindi poco dannoso nella maggior parte delle situazioni, mentre il secondo è generalmente il più terribile, arrecando le lesioni più diffuse a un altissimo numero di frutti in via di maturazione.

In alcuni casi certe correnti tecniche trascurano volutamente queste prime generazioni, proprio perché i danni sono spesso limitati. In fondo, si chiedono taluni, perché abbattere le poche larvette di Anarsia lineatella che si risvegliano sui peschi a inizio primavera e smangiucchiano gli ultimi bocconi di foglia prima di imbozzolarsi e sfarfallare dopo qualche settimana per accoppiarsi? Che problema c’è se al primo giro la piralide del mais sforacchia un po’ le foglie? In fondo, basta controllare la seconda generazione, quella che sbriciola le pannocchie. Idem la Cydia pomonella: i veri danni li fa la seconda generazione, a inizio luglio, quindi con la prima di metà maggio si può talvolta usare la mano leggera.

Tutto bello, però poi in estate capita si debbano fare molti trattamenti in più proprio perché la popolazione dei parassiti è più che decuplicata e la situazione è uscita dal controllo di chi pensava di poterla gestire facilmente (anche fra gli agronomi ci sono i Boris Johnson e i Donald Trump di turno). Ogni femmina può infatti deporre decine di uova a ogni ovideposizione, quindi per ogni insetto risparmiato a maggio se ne troveranno alcune decine a fine giugno. Forse, un trattamento insetticida in più, fatto al momento giusto, potrebbe risparmiarne un paio nei mesi successivi? Forse. Dipende dall’annata e dipende dal tecnico che segue l’azienda agricola.

Il virus è molto peggio: da un solo virus ne possono arrivare miliardi nel volgere di pochi cicli infettivi. Quindi, a maggior ragione, meglio ammazzarli da “piccoli” che aspettare che crescano per ingaggiare poi una lotta all’ultimo sangue quando il vantaggio sarà tutto loro. Anche perché la vita di un Essere umano vale forse qualcosa di più di una pera o di una pesca.

Escludendo che per l’autunno sia disponibile per tutti un vaccino valido (le probabilità sono molto basse), non resta che adottare la tattica dell’agronomo saggio: ridurre al massimo l’inoculo per minimizzare le generazioni successive.

Quindi, se si vuole sperare che da ottobre in poi il virus non ci prenda ancora a sberle, come e peggio di quanto fatto fino a ora, molto dipenderà da quanta terra bruciata saremo bravi a fargli intorno nei prossimi mesi. Farlo sparire temo sia impossibile. E anche se sparisse qualcuno che va avanti e indietro per lavoro o per turismo lo farebbe rientrare dalla finestra.

Almeno facciamo in modo di ridurlo così ai minimi termini numericamente da poterlo individuare e isolare in fretta quando le condizioni torneranno a lui favorevoli per nuovi focolai. Ciò è fattibile attraverso comportamenti coscienziosi nella vita di tutti i giorni, con o senza decreti ministeriali. Dovremo cioè continuare a comportarci come se l’epidemia fosse ancora in giro anche quando essa sembrerà scomparsa. Il virus non deve cioè trovare nessuno disposto ad ospitarlo, estinguendosi in tal modo spontaneamente.

Non esultate, non festeggiate e, soprattutto, non iniziate a comportarvi come se il pericolo fosse ormai alle spalle. È così che il virus ci fregherà ancora. Va bene ripartire, va bene tornare a una vita quasi normale. Ma, appunto, quasi.

Tenetevi le mascherine e seguite tutte le buone pratiche igienico sanitarie oggi consigliate, anche quando i più vi guarderanno strani, come se foste voi i matti. I matti saranno loro. E i matti, purtroppo, sono pericolosi per tutti: gli idioti degli aperitivi di febbraio-marzo insegnano. E mi fanno più paura del virus, perché mentre quest’ultimo non è senziente, gli idioti lo sono e pare siano pure orgogliosi di comportarsi come tali.

Proteggetevi quindi soprattutto dagli idioti, perché il virus camminerà con le loro gambe e vi minaccerà tramite il loro respiro. Fate cioè in modo di isolare e comprimere la popolazione dei matti, perché sono proprio loro i migliori alleati del virus.

Minimizzare la popolazione di entrambi sarà l’unica nostra arma per superare i prossimi autunno-inverno in relativa sicurezza, in attesa che un vaccino giunga da un lato a salvare vite e dall’altro a riaprire i manicomi agli antivaccinisti.

E che il Cielo ce la mandi buona, perché se decide di mandarcela cattiva, saranno di nuovo lutti a grappoli.

 

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.