Un’esperienza universitaria del passato insegna come difendersi dal catastrofismo allarmista odierno, piaga che ormai ha invaso anche ambienti accademici e mediatici
Mettere paura o far piangere è molto più facile che rassicurare o far ridere. Lo sa anche l’ultimo brocco di aspirante attore iscritto a una scuola di recitazione di quart’ordine. E qualcuno di tali personaggi l’ho pure conosciuto in vita mia.
Mai come oggi si è però assistito a un furioso martellamento allarmista su molteplici fronti. Un giorno sono i pesticidi nelle acque, un altro nei cibi. E poi gli Ogm distruttori del Mondo, l’olio di palma manco fosse Polonio radioattivo, idem per il glutine del grano e i vari cibi spacciati come “velenosi” come il latte, la farina o lo zucchero. Spesso, per somma incoerenza, tali persone sono poi le stesse che reputano il Covid-19 una bufala inventata dai “poteri forti” per togliere loro la libertà. A dimostrazione che se uno si dimostra essere un pazzo per una cosa, difficilmente si dimostrerà savio per un’altra.
Come non bastasse, pure il 5G viene presentato come arma di distruzione di massa, al pari delle medicine e dei vaccini della famigerata “BigPharma”, più ogni possibile altra innovazione o infrastruttura che si affacci sul Pianeta. In tal senso fa scuola il recente completamento della Tap, il metanodotto che porta gas in Italia approdando sulle coste pugliesi, portato a termine senza che si verificasse alcuno dei “disastri ambientali” paventati dai soliti comitati del No e dai molteplici ciarlatani che in siffatto torbido ci hanno sguazzato a piene mani. Il tutto, causando ritardi e danni economici tutt’altro che indifferenti. Danni non solo a carico dell’azienda costruttrice, bensì anche della collettività nel suo insieme. Danni causati da minoranze di facinorosi o di disonesti che per le proprie azioni scellerate e spesso illegali mai pagheranno.
Lezioni dal passato
La summenzionata regola dello spavento strumentale, però, può essere applicata con successo anche quando sul palcoscenico non vi sia un attore, bensì un professore universitario un po’ fanfarone e in cerca di proseliti.
Sono trascorsi ormai 31 anni da quando assistetti a uno “stage” universitario di un certo professor Phobos, americano, in visita al Dipartimento di meccanica e meccanizzazione della Facoltà di agraria di Milano. Ero studente ormai in tesi, impegnato in una ricerca sull’eutrofizzazione delle acque, ovvero quel fenomeno di proliferazione abnorme delle alghe causato dall’eccesso di sostanze nutritive come fosforo e azoto.
La mia sensibilità ambientalista era molto spiccata a quel tempo. O meglio, non avevo ancora capito quale differenza vi fosse tra un ecologo, cioè uno scienziato impegnato concretamente nella difesa dell’ambiente, e un ambientalista, ovvero un idealista spesso impegnato a dare la caccia alle streghe convinto ancora che esistano.
Votavo per i Verdi, ero iscritto al Wwf ed ero in procinto di espletare il servizio sostitutivo di Leva presso l’associazione ambientalista Amici della Terra. Insomma, ci credevo. E tanto pure.
Il professor Phobos, omonimo di un personaggio della Marvel comics apparso in una puntata dell’incredibile Hulk, era un uomo sopra la sessantina, ornato da una capigliatura candida. Si presentò vestito in modo semplice, con un marsupio da turista in bella vista, ma si rivelò presto un istrione esuberante, a tratti molto simpatico.
Sapeva bene come stabilire con la platea un’empatia profonda, specialmente contando sulla nostra giovane età e quindi inesperienza. Oggi, che qualcosa di comunicazione ho pur imparato, so che era solo molto abile nel sapersi presentare e nel far abbassare le difese agli interlocutori, ricorrendo con malizia a una serie di facezie e comportamenti divertenti, i quali in un uomo di scienza come lui non potevano che suscitare apertura mentale e voglia di ascoltarlo.
Nella sua ora di lezione ci trasmise così quelli che erano i suoi consigli di navigato ambientalista. Ci insegnò in special modo come ci saremmo dovuti comportare nel caso fossimo stati coinvolti in futuro in una valutazione di impatto ambientale, cioè quel processo d’indagine atto a misurare i rischi e i possibili danni di una qualsiasi opera dell’Uomo. Noi eravamo infatti dei potenziali futuri ecologi, quindi quella buona lana di Phobos sperava di contribuire a trasformarci anche in futuri ecologisti.
Il suo approccio con le autorità pubbliche coinvolte nei processi di valutazione era molto semplice: catastrofismo a iosa. Ci spiegò infatti che non dovevamo relazionare alle autorità snocciolando in modo asettico i risultati scientifici delle nostre ricerche. Dovevamo al contrario puntare sull’emotività, mettendo la razionalità delle evidenze scientifiche in secondo piano. “You must say that everything will be completely destroyed!“, cioè, “Dovete dire che tutto andrà completamente distrutto!“. Solo così, secondo lui, si poteva sperare di essere ascoltati dai decisori pubblici che ci avevano consultato in qualità di esperti.
In altre parole, a Phobos interessava poco valutare il reale impatto ambientale di un progetto. A lui interessava invece spaventare gli ascoltatori affinché non se ne facesse nulla. Lavoro tutto sommato facile, dal momento che la maggior parte dei politici, se qualcuno paventa loro un rischio elevato, mai si prenderebbe il rischio di passare un guaio con gli elettori in caso quell’esperto avesse avuto malauguratamente ragione.
Questo in Usa, ovviamente, perché in Italia abbiamo politici che collezionano da decenni figure a cavallo tra codice civile e penale, ma continuano imperterriti a prendere voti e spolpare i bilanci di Stato e Regioni come se fossero a un banchetto medievale di cacciagione mista.
Finito di dispensare a noi giovani le sue “pillole di saggezza” (!), Phobos se ne tornò poi negli Stati Uniti e io portai con me la traccia di quella lezione demenziale per alcuni anni. Poi, per fortuna, imparai nel tempo quanto le persone come Phobos fossero tanto seducenti quanto pericolose. Dal momento in cui realizzai tale evidenza, diedi importanza solo ai fatti, ai dati, alle prove, cercando di essere il più possibile preciso, in modo che le mie conclusioni fossero il più possibile attendibili.
Forse è per questo che oggi rimango costernato di fronte all’evidenza di come sul Mondo abbia avuto un peso preminente chi la pensa come il Prof. Phobos, anziché quelli come me e come molti altri colleghi i quali, come tanti Don Chisciotte, continuano a spiegare coi dati e con le prove che no, il progresso ha fatto molto più bene che male. E che non moriremo tutti entro venerdì, oggi per questo, domani per quello.
Ricordatevi quindi che dietro a ogni proclama allarmista che sentite può nascondersi un adepto della “Phobos school”. Un nome, un programma, visto che Phobos deriva dal greco Φόβος, ovvero la divinizzazione della paura. E da tali divinità è meglio stare alla larga.
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Filed under: 4 - Pillole dalla storia | Tagged: allarmismo, catastrofismo, covid-19, ecologismo, negazionismo, ogm, olio di palma, pesticidi, phobos, residui, salute, sicurezza alimentare, tap, tossicologia | Leave a comment »
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