Benvenuti nel mio blog!

Questo è un blog dove si parla soprattutto (ma non solo) di agricoltura e dei suoi rapporti con l’ambiente e la salute…

.. è infatti anche un luogo dove si trattano temi come quelli energetici, alimentari e di attualità.

Come regola, viste le incursioni reiterate di personaggi in cerca di visibilità, nonché di proseliti delle più disparate teorie pseudo-scientifiche, ho deciso che questo blog va interpretato come un libro non cartaceo. Un luogo dove io scrivo, chi visita legge. Se è d’accordo, bene. Se ritiene di avere imparato qualcosa, ancora meglio. Se invece ritiene che l’uomo sia frugivoro, che i vaccini facciano venire l’autismo, che la chemioterapia uccida anziché salvare, oppure che le multinazionali stiano cospirando per ucciderci tutti, malissimo. Qui di posto per divulgare falsi miti da dimensione parallela, non ce n’è. Fatevene una ragione.

Buona navigazione quindi!

Donatello Sandroni

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Novax: numeri contro fake news

Come la percezione dei rischi può essere molto diversa dai rischi reali

Circolano ancora i deliri antivaccinisti, vuoi per il ritiro del vaccino di AstraZeneca, vuoi per i casi di morte improvvisa. Come stanno realmente le cose? Non certo come sostengono i novax

Cadono come mosche!!11!1!!”. Una frase che continua a imperversare sui social fra i novax che a ogni morte improvvisa che viene pubblicata dai media gongolano, illudendosi di essere al sicuro poiché non si sono fatti “inoculare il siero genico sperimentale”. Secondo la loro percezione, infatti, le morti improvvise sarebbero aumentate in modo esponenziale fra i vaccinati. Cosa ovviamente falsa: non c’è stata alcuna impennata, né tra i vaccinati, né tra i no vax.

Storicamente, infatti, si registrano ogni anno decine di migliaia di morti improvvise per cause cardiocircolatorie. Basti pensare che in una puntata di 30 ore per la vita si raccoglievano fondi proprio per finanziare la ricerca in tal senso. A oggi non vi sono indicazioni statistiche che possano far pensare a un aumento di tali casi, men che meno che possano far pensare a una specifica impennata fra i vaccinati. Ma, appunto, i novax non pensano: delirano.

AstraZeneca “ammette”? Ma piantatela…

E ancora no: AstraZeneca non ha ammesso proprio niente perché non vi era nulla da ammettere. Solo la stampa-feccia nazionale poteva speculare su questa non-notizia, come del resto fa da anni sul Covid-19. Che il loro vaccino mostrasse qualche caso in più in termini di effetti collaterali (fattori di coagulazione del sangue) lo si seppe infatti quasi subito, nel 2021 stesso.

Un conto è infatti sperimentare un vaccino su qualche decina di migliaia di pazienti offertisi volontari. Un altro è essere somministrati a centinaia di milioni di persone a livello globale. In tal caso, anche la probabilità dello 0,0000001% di avere un effetto avverso, prima o poi, si realizza. E l’effetto avverso si misura oggettivamente.

Per questo c’è la vigilanza sui farmaci: perché alcuni effetti rarissimi si possono valutare solo quando un vaccino o un farmaco è stato assunto da milioni e milioni di persone. Che vi piaccia o meno non importa: se non si facesse così non avremmo alcun rimedio per curarci dalle malattie o per prevenirle. Fatevene una ragione. Cinico? Sì, certamente. Ma se siete vivi e potrete restarci a lungo è grazie ai cinici, non ai vostri guru del menga.

Il ritiro del vaccino non è quindi dovuto agli effetti avversi (rarissimi), quanto per il fatto che non era più efficace ed era stato superato da tutti gli altri. Pensate un po’: quelli a mRNA. Cioè quelli accusati oggi di fare stragi.

Il vaccino AstraZeneca era stato infatti tarato sulla prima variante di Covid-19 e ormai non funzionava più sulle ultime varianti giunte a impestare il mondo. E se un vaccino non funziona si rischia molto di più a continuare a somministrarlo, poiché si aumentano i rischi di danni dovuti al virus. E allora sì che fioccherebbero le cause per un risarcimento. E la farei pure io, una causa, sapendo che mi sono ammalato per colpa di un vaccino ormai inefficace, ma venduto lo stesso. Ecco perché lo hanno ritirato. Quindi, cari novax, posate la bottiglia di grappa e fatevi passare la sbornia di esultanza, perché non ha alcun motivo di essere.

I dati dell’Istituto Superiore di Sanità

In compenso, vi sono i report pubblici dell’Istituto Superiore di Sanità che descrivono le differenze fra vaccinati e non vaccinati in termini di casi di Covid-19, di ricoveri ospedalieri, di ricoveri in terapia intensiva e di decessi.

Per esempio, a pagina 15 del report del 27 ottobre 2021 (periodo 24/09/21 – 24/10/21) si possono leggere i numeri e questi parlano molto chiaro: andando a bomba su ricoveri, terapie intensive e decessi, i non vaccinati avevano una probabilità molto più elevata dei vaccinati, soprattutto se con ciclo completo.

Spiegazione della tabella: i numeri assoluti sono quelli da considerare per elaborare il calcolo proporzionale e probabilistico. Quelli fra parentesi sono le percentuali relative alla specifica categoria (ricoverati, in terapia intensiva o morti). Ma queste percentuali andrebbero proporzionate al numero assoluto di partenza, altrimenti si corre il rischio di pensare che in fondo le differenze siano minime.

Per comprendere i reali benefici delle vaccinazioni si deve cioè elaborare un calcolo di tipo proporzionale fra casi registrati e popolazione di partenza. Altrimenti i numeri secchi di per sé possono apparire fuorvianti agli occhi di una persona poco attrezzata quanto a matematica, offrendo spunti golosi alla summenzionata stampa-feccia che coi novax ci si paga gli stipendi. Altrimenti i loro giornali non li si comprerebbe nemmeno per tappezzare la gabbia dei canarini.

I numeri assoluti

Come prima cosa vanno guardati i numeri assoluti delle popolazioni prese in considerazione: la popolazione contabilizzata nel settembre 2021 ammontava a 54.009.840 (manca tutta la popolazione <12 anni). I vaccinati con ciclo completo erano 11.715.686 (12-39 anni), 14.103.183 (40-59 anni), 11.868.189 (60-79 anni) e 4.228.199 (80+ anni). Quindi, la stragrande maggioranza della popolazione (41.915.257) risultava vaccinata con ciclo completo. A questi vanno aggiunti 2.863.195 cittadini con ciclo vaccinale incompleto.

Per contro, i non vaccinati erano 9.231.388. Di questi, la stragrande maggioranza era rappresentata da cittadini fra i 12 e i 39 anni (4.131.599) e da quelli fra i 40 e i 59 (3.459.567). Quindi le fasce meno soggette a sviluppare sintomi seri, gravi o mortali del Covid-19.

Nonostante ciò, i numeri restano impietosi, soprattutto pensando che i valori riportati in tabella sono riferiti a un solo mese. Rapportando infatti i casi di ricovero ospedaliero, quelli in terapia intensiva e quelli dei decessi con la popolazione di partenza di ciascuna categoria di età, i non vaccinati ne escono malissimo rispetto ai vaccinati. Limitandoci al confronto fra non vaccinati e vaccinati con ciclo completo, chi non era vaccinato aveva un fattore moltiplicativo del rischio enorme, sebbene diverso per fascia di età:

Fattori di rischio molto più elevati per i non vaccinati

Nella fascia 80+, considerata la più fragile per ovvi motivi, i non vaccinati avevano 7,6 volte in più di probabilità di finire in ospedale rispetto ai vaccinati di pari età. Una probabilità che saliva a 8,3 volte per i ricoveri in terapia intensiva e a 11,7 volte per i decessi.

Per la fascia di età 60-79 anni i fattori moltiplicatori del rischio erano pari a 12 volte per le ospedalizzazioni, a 24 volte per i ricoveri in terapia intensiva e a 18 volte per i decessi. Quindi peggio dei cittadini 80+.

Fascia 40-59 anni: molto peggio ancora per i cittadini non vaccinati ricadenti in questa fascia di età. Avevano infatti 20 volte tante le probabilità di finire in ospedale, 29 volte tante quelle di passare dalla terapia intensiva e 23 volte tante quelle di morire. Questa fascia di età è stata quindi quella in cui le differenze fra vaccinati e non vaccinati sono state più evidenti in termini di rischi. Si ripete: calcoli elaborati su base proporzionale e probabilistica, prendendo per ogni categoria i casi e rapportandoli alla popolazione di partenza di ogni specifica categoria.

Fascia 12-39 anni. Brutte notizie anche per chi sostiene che i giovani stessero benone anche se non vaccinati. In numeri assoluti senz’altro, poiché l’incidenza del Covid-19 sulle persone giovani era molto bassa, per lo meno in termini di sintomatologie. Ma i confronti vanno fatti fra pari età, vaccinati o meno che siano.

Anche in tal caso, i giovani non vaccinati avevano una probabilità 19 volte più elevata di finire in ospedale e 11 volte quella di morire. Per la terapia intensiva non è stato possibile calcolare il rapporto proporzionale, poiché di non vaccinati, nel mese considerato, in terapia intensiva non è finito nessuno, contro i 4 non vaccinati. Si ricorda che le due popolazioni di partenza erano 11.715.686 per i vaccinati e 4.131.599 per i non vaccinati. In termini percentuali, il 67,2% dei 12-39 era vaccinato, contro il 23,7% dei non vaccinati. Nonostante però fossero quasi il triplo dei non vaccinati, i vaccinati hanno ripotato zero ricoveri in terapia intensiva contro i 4 dei non vaccinati.

Conclusioni

Cari novax: voi i vaccini non li dovete proprio fare, ma non perché pericolosi, bensì perché non ve li meritate.

Disclaimer 1: nessun commento è ammesso. La spiegazione qui

Disclaimer 2: i bannerini pubblicitari che possono apparire nel blog sono di wordpress. Dato che adopero una versione gratuita, loro sperano che io gliela paghi mettendomi pubblicità. Ignorate ogni suggerimento a diete, prodotti o cure miracolose: sono contrarie ai contenuti del mio blog e pertanto me ne dissocio apertamente.

La dura vita dei club privati

In un club londinese per soli uomini una donna è riuscita a farsi assumere comunque (Fonte foto: Intelligenza Artificiale)

Discriminazione sessuale: come una donna è riuscita a farsi assumere da un club londinese per soli uomini (abbastanza ingenui) in base a leggi ottuse e fintamente progressiste

Dopo aver scritto l’articolo di ieri sulla querelle australiana fra un transgender e una imprenditrice, mi è tornato alla memoria un episodio avvenuto oltre vent’anni fa, a Londra. Purtroppo, data la distanza temporale non mi è stato possibile ritrovare la notizia originale (allora la lessi su un cartaceo), ma in sostanza il caso è abbastanza semplice. Cito a memoria.

Il barman di un club per soli uomini, a Londra, se ne andò. I membri del club misero un’inserzione per cercare un nuovo barman, specificando ingenuamente che la selezione era riservata ai soli uomini. Di per sé una persona di buon senso lo può ben capire: siamo un club privato riservato a noi uomini, ce ne vogliamo stare in pace a parlare fra soli uomini, quindi donne: non rompeteci le scatole. E lo stesso dovrebbe valere ovviamente anche per un club privato di sole donne.

Una donna in evidente vena di rompere gli zebedei presentò comunque la propria candidatura, la quale venne ovviamente respinta. Non aspettava altro: andò da un giudice e portò in tribunale il club, accusandolo di discriminazione sessuale. Alla fine, grazie alle leggi vigenti, il giudice le dovette dare ragione e il club fu costretto ad assumerla.

Fossero stati meno ingenui – sapendo quanti provocatori scassamaroni esistono al mondo – non avrebbero dovuto specificare il sesso del candidato. Avrebbero dovuto fare la loro bella e attenta selezione, scegliendo poi un uomo dopo essersi magari sperticati di complimenti per la professionalità della candidata donna (ammettiamolo: si prova un certo gusto a prendere per i fondelli i rompicoglioni dopo averli fregati). A quel punto, non avendo alcun appiglio “sessuale”, non le sarebbe stato più possibile portarli in tribunale e imporre la propria sgradita presenza in un club ove una donna non doveva proprio entrarci, né come socia, né come bar-woman.

Il caso londinese di tanti anni fa ricorda per molti versi quello australiano del precedente articolo: una persona prepotente, in vena di rompere gli zebedei agli altri, si intrufola in un’area privata e riservata che di fatto non la vuole. Un po’ come se qualcuno mi facesse causa se non lo invito a casa mia dopo aver invitato gli altri ex-compagni di classe: a casa mia invito chi mi pare e faccio entrare chi mi pare. E se non ti va, impiccati (e forse si capisce anche perché non ti invito, se ragioni in quel modo).

A certi soggetti, invece, pare proprio che manchi il concetto per il quale anche la libertà individuale deve trovare limiti nelle libertà individuali altrui. Quando ciò accade, cioè si varca ogni limite logico, si diventa carnefici, non vittime. E se le leggi lo consentono, è forse l’ora di cambiare le leggi.

Aggiunta post-pubblicazione: inserzione per ricerca di personale, ma per sole donne. Trovata su web. Della serie, il sessismo è sessismo a volte sì, a volte no. La discriminazione è a volte sì, a volte no. Dipende.

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Transgender Vs Women: cosa succede in Australia

In Australia si sta combattendo una disputa legale fra un uomo transgender e la proprietaria di una app per sole donne. Nota per i poveri di spirito: quello in foto è un canguro, visto che si parla di Australia, ed è vestito da donna poiché sempre in Australia si sta dibattendo su cosa sia una donna… (Fonte foto: Intelligenza Artificiale)

Un transgender australiano, Roxanne Thickle, ha portato in tribunale Sall Grower, CEO di Giggle for Girls, una app dedicate alle sole donne, poiché è stato escluso in quanto uomo.

Una disputa che a raccoltarla negli anni ’80 avrebbe probabilmente suscitato solo ilarità e noncuranza, ma che nel 2024 in Australia è entrata addirittura nelle aule di tribunale. La questione è infatti su chi sia da considerare donna e chi no.

Il tutto è nato da un transgender australiano, che ora si fa chiamare Roxanne Thickle, che ha provato a iscriversi a una app, Giggle for Girls, riservata alle sole donne. Una sorta di area riservata in cui esse possono chattare fra loro, lontane da occhi maschili, come pure conoscersi e incontrarsi se ciò aggrada. Al momento di iscriversi un tool di riconoscimento facciale fa da filtro ed elimina le richieste di iscrizione se dall’altra parte dello schermo c’è un uomo.

Il problema è che se un uomo è truccato da donna il sistema può anche fare cilecca, quindi a valle c’è l’intervento dei gestori dell’app che provvedono a rimuovere i membri (è proprio il caso di dirlo) che non appartengono al sesso femminile. Quindi, Thickle è riuscito sì a ingannare il tool automatico, ma non gli occhi delle donne che lo hanno valutato successivamente. E da qui la cancellazione dell’iscrizione alla app.

Ovviamente è scattata la reazione dell’uomo, il quale ha fatto causa a Sally Grower, CEO della società che gestisce Giggle for Girls. Discriminazione: questa l’accusa di Thickle. Non è una donna: la difesa di Grower. Chi ha ragione?

Una disputa che non dovrebbe nemmeno esistere

Basta guardare la foto che apre l’articolo linkato poco sopra per comprendere come Thickle altro non sia che l’ennesimo transgender che pretende di essere considerato donna con tutto ciò che ne consegue, cioè l’accesso a qualsiasi area di norma riservata alle donne: spogliatoi, bagni, docce, sport, aree di detenzione, selezioni professionali (tipo quote rosa per intendersi) e perfino pensioni anticipate.

Nei Paesi anglosassoni ai transgender è stato concesso molto, per esempio negli sport (al link sopra un lungo elenco di tali misfatti). Il risultato è che molte donne vengono sconfitte da individui nati uomini. Per esempio, Taylor Silverman è stata sconfitta in alcuni contest americani di skateboard da un atleta nato uomo ma auto-dichiaratosi donna. Le regole attuali gli permettono infatti di competere con le donne e vincere, anche in termini economici.

Taylor ha fatto i conti in tasca al vincitore, calcolando in alcune migliaia di dollari il danno subito, oltre alla delusione delle sconfitta sportiva. Analogamente, anche la terza classificata ha perso denaro, poiché avrebbe potuto arrivare seconda. In pratica, un furto legalizzato in nome di un concetto di inclusività del tutto sballato. E la cosa più sconcertante è che da più parti Taylor è stata bollata come “transfobica“. Lei, transfobica. Non lui un senza vergogna che scippa letteralmente medaglie e premi a donne nate biologicamente tali. A dimostrazione di quanto sia profonda la distorsione dei fatti, anche dei più elementari.

Australia al bivio: vincerà il buon senso o la follia transgender?

Il processo australiano è ormai iniziato. Sally Grower intanto sta però già perdendo un sacco di denaro, poiché da due anni la app è stata chiusa in attesa di un giudizio legale. Una proposta di accomodamento è stata avanzata da Thickle, il quale per ritirare la denuncia ha chiesto l’accesso alla app e, incredibile ma vero, l’accettazione da parte della Grower di intraprendere un percorso di rieducazione. Manco fossimo nella Russia stalinista che spediva in dissidenti nei gulag per essere “rieducati”. Proposta ovviamente e giustamente respinta al mittente.

Peraltro, Mr. Thickle “dimentica” che quella app non è un servizio di carattere pubblico, che come tale sarebbe giusto fosse aperto a tutti: è un club privato, creato e gestito da privati e che ha quindi diritto di stabilire chi può e chi non può entrare. Pare quindi che Mr. Thickle se ne fotta altamente della regola per la quale la sua libertà finisce dove inizia quella degli altri, pretendendo di godere di una libertà illimitata anche a costo di calpestare quella altrui.

Un aspetto comico della faccenda è che persino l’avvocato di Thickle, durante un intervento, ha definito il suo assistito “he“, egli. Non “she“, ella. Della serie: basta un attimo di distrazione e la verità viene fuori anche nella bocca di chi è pagato per sostenere una bugia.

Entro qualche mese si potrà quindi sapere cosa ne pensano i giudici australiani della semplice domanda “Cosa è una donna?“. Domanda per ripondere alla quale basterebbe un banale libro di scienze delle scuole superiori. Questo dal punto di vista biologico. Il dramma è quando un’evidenza biologica viene scavallata da un trend sociale che affonda le proprie radici in una mera propaganda dalle ambizioni sedicenti “inclusive” e progressiste. Una propaganda che oltretutto mira a far passare come vittime quelli che di fatto sono loro gli usurpatori.

PS: dato che parlando di transgender in chiave critica è un attimo essere bollati da bigotti, transofobi e “right wing” (cioè di destra), tengo a precisare che sono ateo, scientista, antifascista e che di fobia ho solo quella per gli stronzi, i prepotenti e i disonesti.

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Andrea Ghiselli se n’è andato. I no-vax esultano

Il nutrizionista aveva 70 anni e dopo la sua scomparsa sono esplosi gli sberleffi degli antivaccinisti (Fonte foto: Crea)

Uomo di scienza stimato e rispettato per le sue attività di ricerca e divulgazione, Andrea Ghiselli è scomparso a soli 70 anni. Di lui rimarrà l’eredità dei suoi insegnamenti e il ricordo di una persona per bene e dalla spiccata simpatia e disponibilità

Nutrizionista, docente universitario ed ex Dirigente di Ricerca del CREA nel settore Alimenti e nutrizione, Andrea Ghiselli era anche Presidente della Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione. Negli anni aveva prodotto innumerevoli articoli, pubblicando anche alcuni libri come Veg & Med: Dieta vegetariana e dieta mediterranea a confronto e La dieta mediterranea anzi italiana.

Persona aperta e disponibile, per lungo tempo aveva anche curato il forum alimentazione del Corriere della Sera, mettendo a disposizione le proprie capacità ed esperienze a favore di chi volesse approfondire i temi di cui era un esperto fra i più stimati in Italia.

La sua dipartita è stata infatti salutata da diversi articoli a lui dedicati:

Il CREA saluta Andrea Ghiselli, volto storico della nutrizione italiana, prematuramente scomparso

È morto Andrea Ghiselli, il nutrizionista di Corriere Salute

Addio ad Andrea Ghiselli, il volto saggio della nutrizione

Purtroppo, come era facilmente prevedibile, dopo la sua morte sono apparsi d’incanto sciami di no-vax che hanno invaso la sua bacheca di Facebook irridendo, sfottendo e spammando faccine che ridono. In quella stessa pagina, a grave onta degli squadristi no-vax, vi erano persone che stavano manifestando il proprio dispiacere per la dipartita: allievi, parenti, amici, estimatori. Tutti addolorati per la morte di una persona seria e preparata dal punto di vista scientifico e aperta dal punto di vista umano.

In pratica, è stato come se un nugolo di cafoni ubriachi avesse invaso la camera ardente in cui familiari e amici sono raccolti nella commemorazione del proprio caro. Senza rispetto, senza ritegno. I soliti sfottò, le solite allusioni al fatto che Ghiselli fosse vaccinato. Quindi la sua morte doveva per forza essere dovuta al “siero”, ai loro occhi ovviamente mortifero, così come ogni altra morte sulla faccia del Pianeta. Ai vaccini hanno attribuito persino la morte di Alexei Navalny, ucciso nella prigione ove era recluso, reo di essere antagonista di quel criminale mafioso di Vladimir Putin.

Gente ormai persa nei propri deliri e che non ha più alcun freno inibitore né pudore.

Individui che non solo collegano ai vaccini ogni decesso al mondo, bensì pregano ogni giorno che muoia qualcuno che in vita si era battuto a favore delle campagne vaccinali e che li aveva sbugiardati nelle loro malate fantasie. Come per esempio aveva fatto Andrea Ghiselli. Gongolanti, i no-vax sono accorsi in branco e hanno spammato nella sua bacheca le frasi che Andrea aveva scritto proprio a loro, mettendoli in ridicolo negli aspetti per i quali i no-vax vanno stranamente fieri.

C’è anche chi ha pensato di pubblicare articoli usando quelle frasi quasi come contrappasso: tu avevi sfottuto, adesso vieni sfottuto tu. Attribuendo a Ghiselli la mancanza di rispetto delle opinioni altrui, nonché attribuendogli anche la mancanza di rispetto per i “danneggiati dai vaccini“. A tale articolo non si metterà link, per non dare visibilità a dei no-vax mascherati da moderati. Mascherati, poiché la citazione dei danneggiati dai vaccini (rarissimi e mai sfottuti da Ghiselli) è già l’impronta digitale degli antivaccinisti. Come pure il rispetto delle opinioni altrui: Ghiselli aveva il massimo rispetto delle opinioni altrui, ma non ne aveva giustamente alcuno per i deliri psichedelici di quelle persone che infestano i social con teorie non solo ridicole, bensì anche pericolose, poiché possono catturare l’attenzione di persone ingenue e fragili condizionandone negativamente i comportamenti e le scelte. Ed è infine atto ignobile mettere sullo stesso piano uno sfottò fra vivi con altri perpetrati da vivi ai danni di un morto.

Verso gli sbullonati no-vax aveva infatti uno spiccato senso dell’ironia, Andrea: una qualità che evidentemente non piace alla galassia PSIC, acronimo da me coniato per i complottisti/negazionisti fra i quali spiccano appunto i no-vax. PSIC sta infatti per “psicosi, stupidità, ignoranza e cattiveria“. E nella bacheca di Andrea tali pessime caratteristiche sono emerse tutte nei commenti degli haters durante le loro irridenti scorribande.

Erano lì, a pisciare sul cadavere ancora caldo di Andrea il proprio velenoso astio, mascherato da ilarità. Peccato che al corpo di Andrea poco ne calasse, ormai. Non c’era più e pertanto alcun insulto, alcuno sberleffo potrà mai rattristarlo. Una serie di dispetti che, anche volendo, non può essere però restituita dagli amici di Andrea poiché, a differenza dello stimato nutrizionista, quando muore un no-vax non se ne accorge nessuno, tranne i parenti stretti e la congrega di disagiati che ne condividevano le bizzarrie. E anche se ce ne accorgessimo, della loro morte, noi estimatori di Andrea non ci permetteremmo mai di infiltrarci nelle loro bacheche per prenderli in giro alla faccia del dolore delle persone care.

Agli immondi cialtroni che hanno sommerso un morto di insulti e prese in giro, tanto stupide quanto immotivate, sarà infatti bene ricordare una cosa: Andrea ha lasciato una eredità corposa, solida e ampiamente condivisa. Di lui resteranno le opere e gli insegnamenti. I suoi allievi lo ricorderanno e ne trasmetteranno la sapienza ai propri allievi. E questi ultimi ad altri ancora e ancora. Fra molti, molti, molti anni, anche se non sapranno da dove quegli insegmenti vengano, vi saranno giovani biologi e nutrizionisti che porteranno Andrea Ghiselli dentro di sé senza neanche saperlo. Cioè la più ambita eredità che ogni uomo di scienza è orgoglioso di lasciare: divenire eterni grazie a ciò che si è insegnato, anziché per la propria limitata esistenza terrena.

Al contrario loro, i no-vax, alla propria morte non potranno contare su vibranti articoli commemorativi sui principali media italiani: appena spirati verranno infatti dispersi nel tempo, velocemente, completamente. Così come il vento disperde una scorreggia.

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C’era una volta chi si credeva Napoleone

Cosa succederebbe se il Rag. Artemisio Scacabarozzi un giorno si svegliasse credendosi Napoleone? (Credits immagine: https://en.ac-illust.com/clip-art/23886527)

Un giorno un ragioniere di un paesino di provincia si convince di essere Napoleone Bonaparte, innescando una serie di eventi che coinvolgeranno tutti, volenti o nolenti

Un uomo comune in un paesino di provincia altrettanto comune. Questo il protagonista di una storia di pura fantasia che si è deciso di inventare per intrattenere e, magari, fare riflettere.

Il Rag. Artemisio Scacabarozzi nasce a Cremona, salvo poi crescere a Pizzighettone, paese di poche migliaia di anime in riva all’Adda. Fin da piccolo conduce una vita senza infamia e senza lode. Prova a giocare a calcio, ma non è un granché. Piccoletto e un po’ bruttino, non ha nemmeno successo con le ragazze e diviene adulto rimbalzando fra tanti piccoli fallimenti e delusioni. Essendo un mediocre nato, il povero Artemisio non è infatti capace nemmeno di averne di grandi.

Prende un diploma da ragioniere, con un voto di poco superiore alla sufficienza, e trova poi lavoro in un ufficio pubblico. Nulla di che, perfettamente in linea con la sua vita. Però gli consente di avere uno stipendio e di andare a vivere da solo in una casetta al limite del paese.

Anno dopo anno la sua frustrazione cresce. Senza che ve ne sia motivo, Artemisio si convince che non doveva andare così. Che non è lui ad avere importanti limiti datigli dalla biologia e dalla natura. Lui, s’illude, era destinato a grandi cose. Doveva nascere ben altro e solo un destino cinico e baro lo ha fatto nascere nel corpo di Artemisio Scacabarozzi, ragioniere.

Napoleone diviene quindi il suo riferimento: piccoletto come lui, dal pene minuscolo, come lui, ciuffo con riportino per coprire la pelata, come lui, un po’ di pancetta, come lui. Oh cielo benedetto! Ma allora lui è… come lui! Piano piano, Artemisio finisce con l’indentificarsi sempre più con il personaggio storico, con le sue gesta, con il suo aspetto. Lentamente, la sua identità originaria, di Artemisio Sacabarozzi, ragioniere, diviene sempre più evanescente. Una sorta di dissolvenza grazie alla quale il suo io biologico e sociale viene sostituito dall’io immaginario privato, fino a che un giorno viene varcata la soglia: Artemisio non si sente più Artemisio, bensì Napoleone. Non si chiama più Scacabarozzi, bensì Bonaperte.

In pieno delirio narcisistico, si guarda allo specchio e non vede più se stesso, bensì un imperatore francese che preme per tornare a camminare sul mondo. E così, il povero Artemisio va da un negozio di costumi teatrali e spende buona parte dei suoi pochi risparmi per farsi fare vestiti su misura uguali a quelli di Napoleone. Per lo meno, quelli con cui Napolenone veniva raffigurato ai tempi.

Ma Napoleone aveva anche un cavallo bianco. Allora Artemisio si fionda da un maneggio in cui un vecchio ronzino di color bianco sta per essere mandato al macello per raggiunti limiti di età e spende ciò che gli resta per portarselo a casa e lasciarlo libero nel piccolo prato annesso alla sua umile abitazione.

La metamorfosi è però incompleta: Artemisio non conosce una parola di francese. Allora si mette a studiare la lingua d’Oltralpe su vecchi libri di scuola di uno zio ormai defunto e piano piano impara anche il francese. Un po’ maccheronico, ovviamente, poiché non s’impara una lingua in modo perfetto nemmeno dopo molti anni di pratica, figuriamoci studiando per qualche mese su vecchi libri, alla sera, nella propria cameretta. Ma alle proprie orecchie, lui, parla un ottimo francese.

Come pure si ammira estasiato allo specchio, mentre si pavoneggia indossando gli abiti di pannolenci con cui il negozio di costumi teatrali ha realizzato quanto chiesto da Artemisio, ma restando entro il budget di 500 euro. Il suo cervello continua però a giocargli brutti scherzi, illudendolo di essere perfetto. In pratica, Napoleone reloaded.

Per molti anni Artemisio va al lavoro, vestito un po’ fantozzianamente. Lavora, un po’ fantozzianamente. Subisce la vita, un po’ fantozzianamente. Ma mentre le ore passano, fra una pratica burocratica e l’altra, la sua mente sorride pensando al momento in cui sarà a casa, lontano da occhi indiscreti e potrà abbandonarsi al suo momento preferito: travestirsi da Napoleone e camminare su e giù per la stanza declamando i suoi discorsi più famosi.

Quando è buio e nessuno lo può vedere, Artemisio si azzarda addirittura a uscire di casa, andare sul prato vestito da imperatore e cavalcare in circolo il povero ronzino al quale ha salvato la vita. Fino a che un giorno non ce la fa più: lui è Napoleone e tutto il mondo deve saperlo. Basta fingere, basta nascondersi. Giunta è l’ora di mostrarsi come tale.

Sconcerto e ilarità, ovviamente, sono le reazioni che genera quando la domenica successiva, vestito da Napoleone, sale in groppa al suo ronzino supposto nobile destriero e percorre la via centrale del paese declamando accalorati discorsi in francese. I suoi concittadini, che lo conosco da quand’è nato, restano basiti. Che diavolo sarà mai saltato in testa ad Artemisio per conciarsi in qual modo? Sarà uno scherzo? Sarà mica forse impazzito di colpo? Molti lo osservano, ridacchiando di nascosto giusto per non umiliarlo e offenderlo, ma nei baretti del paese i commenti si sprecano. Però, in fondo, sanno che Artemisio è un bravo cristo e quindi non fanno alcunché per impedirgli di farsi le sue passeggiate domenicali di fantasia.

Putroppo per Artemisio, però, c’è anche chi lo deride in faccia, gli fa pernacchie, lo molesta verbalmente e i più prepotenti anche fisicamente. I soliti bulli che si credono forti tormentando un debole. E quindi Artemisio scappa a casa, incredulo: nessuno lo ha riconosciuto per come lui si sente di essere. Lui si sente Napoleone, si sforza di pensare e di parlare come Napoleone. Si veste e cavalca come Napoleone (almeno lui crede). Come fanno quei bruti a non capire che lui è Napoleone?

Problema: Artemisio dimentica che la tolleranza verso di lui e le sue stranezze napoleoniche è durata finché lui stesso non ha oltrepassato il segno dell’accettabilità sociale. In reazione a chi lo sfotteva, si è infatti messo a strillare (sempre in francese) di inchinarsi e di ossequiare l’imperatore al suo passaggio. Sua Maestà, pretendeva di essere chiamato, come pure che quando impartiva un ordine al primo concittadino di passaggio, questi doveva obbedire e pure di corsa.

Ai molteplici inviti ad andare a farsi curare e di smetterla di rompere gli zebedei a tutti con le sue fantasie, per tutta reazione Artemisio va invece dal Sindaco, pretendendo che questi emani una circolare comunale in cui si imponga ai cittadini di Pizzighettone di ossequiare Napoleone, di dagli del Voi, di obbedirgli e di ottemperare a ogni sua richiesta quanto ad accessi a luoghi ed eventi pubblici. Lui è Napoleone e chi insiste a chiamarlo Artemisio deve essere multato per “hate speach” (termine trovato in rete e colto al volo da Artemisio).

Il sindaco lì per lì lo manda a stendere, con comprensiva gentilezza, ma sempre a stendere lo manda. E così Artemisio medita vendetta, sempre più livoroso, arrabbiato, assetato di rivalsa e vendetta verso il resto del mondo, quello che cioè si ostina a non riconoscerlo come Napoleone Bonaparte redivivo. E chatta oggi, chatta domani, scopre che a Codogno, poco distante, c’è una donna che afferma di essere Cleopatra, subendo esattamente il medesimo suo trattamento. A Grumello c’è invece un tizio che afferma di essere Winston Churchill, un altro a Cavatigozzi che blocca il traffico vestito da Leonida alle Termopili urlando “Questa è Sparta!”. Insomma, Artemisio grazie al web scopre di non essere solo: come lui ce ne sono altri e tutti patiscono le stesse pene.

E allora agisce: crea l’associazione NCWL (Napoleone, Cleopatra, Winston e Leonida) e pianifica una serie di azioni pubbliche. Flash mob, manifestazioni davanti ai municipi e alle scuole, lettere a giornali e televisioni, finché a Cremona non arrivano inviati da mezzo mondo. Giornalisti, intellettuali e conduttori televisivi lo invitano, lo intervistano, gli danno voce. Artemisio e la sua associazione diventano famosi, onnipresenti, sollevano indignazione cavalcando quel vittimismo che sempre funziona quando una minoranza dichiara guerra a una maggioranza, indipendentemente che abbia ragione o meno. Soprattutto, funziona quando questa maggioranza sia molto silenziosa e passiva, sottovalutando pericolosamente le azioni altrui.

Da lì a poco, Artemisio trova anche sponda in Parlamento, ove un gruppo di onorevoli e di senatori appoggia le sue istanze “inclusive” proponendo disegni di legge grazie ai quali ad Artemisio e ai suoi amici debbano essere concessi gli stati personali che essi chiedono. Nello stupore (ma sempre nel silenzio) generale, la legge passa e da quel momento chi prova a chiamare Artemisio col suo nome, a ricordargli che è un ragioniere e non l’imperatore parigino, rischia di finire in tribunale con l’accusa di discriminazione e di “istigazione all’odio”.

Ora Artemisio gongola, tutto tronfio, passaggiando a cavallo per Pizzighettone, osservando i suoi concittadini abbassare lo sguardo, cambiare marciapiede al suo cospetto. Lo temono, finalmente. Lui è Napoleone ed è quindi giusto che il popolo lo tema. E ciò avviene in ogni altro paesino con Cleopatra, Winston e Leonida, più tutti gli altri matti che si sono illusi di non essere nati Lucia, Mario o Filippo.

Chi si prova ad arginare pubblicamente questa follia, assurta ormai a livello nazionale, viene lui messo sotto processo mediatico. Lui, o lei, se ricordano che per essere Napoleone non basta vestirsi, parlare e percepirsi Napoleone, vengono accusati di ogni cattiveria e barbarie. Loro sono gli ottusi, i retrogadi, gli oscurantisti. Gli odiatori seriali. A conferma che quando un pagliaccio prende possesso del castello, non è lui a divenire Re, bensì è il castello a diventare un circo.

PS: nessun ragioniere è stato maltrattato per scrivere questa favola di fantasia. Perché è solo fantasia vero? Non sarà mica così folle il mondo da… vero? VERO????

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Storia di un bipolare ossessivo compulsivo

Negare i disturbi psichici dietro la violenza sulle donne, quando ci sono, non aiuterà a risolvere il problema

Violenza sulle donne, gelosia maniacale, stalking, omicidio e altri fenomeni similari vedono spesso negata la componente psichiatrica del soggetto. Più comodo spalmare ogni responsabilità sull’intero mondo maschile

Era mio padre, avrei potuto intitolare questo articolo. Perché mio padre era così: un bipolare con manie ossessivo-compulsive che prendevano forza e corpo soprattutto nella sfera sentimentale.

Era un geloso patologico, vedendo intorno a mia madre nugoli di amanti che di fatto esistevano solo nella sua fantasia malata. Bastava una risata durante una cena fra amici perché lui iniziasse a vedere in quella confidenza un sintomo o addirittura una prova che fra mia madre e l’altro uomo vi fosse una tresca.

Ipercontrollo: anche questo è tipico delle persone come mio padre. Voleva sempre sapere dove fosse mia madre e dato che non poteva certo riuscirci sempre, sbroccava all’idea che quando quella povera donna non era sotto i suoi radar chissà cosa stava facendo.

Mia madre, del 1938, lavorava e mandava avanti una casa. Usciva alle otto meno un quarto, tirava le otto ore di lavoro facendo orario continuato per arrivare presto a casa e preparare la cena. Magari mettendo su un bucato e pulendo almeno una stanza.

Di solito arrivava poco dopo le 16, ma talvolta ritardava mezz’ora perché era passata dal supermercato a comprare ciò che mancava. Se lui le telefonava – sul fisso, perché non esistevano cellulari – e lei non rispondeva erano cazzi. Quando tornava dal lavoro iniziava il terzo grado, con il viso tirato, lo sguardo tagliente, le parole sibilate.

Violenza fisica mai, ma psicologica a tonnellate. Non era raro che non mangiasse ciò che aveva preparato mia madre per cena. Talvolta, per farla sentire inadeguata e incapace, si faceva due uova al tegamino o si cucinava una pasta per farle vedere che dopo aver lavorato tutto il giorno gli toccava pure farsi la cena da solo. Da notare che mia madre cucinava bene.

Di solito il picco di fenomeni psicotici arrivava in autunno. Uno degli psichiatri da cui provammo inutilmente a portarlo ci disse che spesso i depressi e/o malati a livello psichico patiscono particolarmente l’accorciamento delle ore di luce. A conferma, almeno per mio padre, le situazioni da Tso o da chiamare i Carabinieri si verificavano quasi sempre a novembre e dicembre.

Inutili i tentativi di fargli intraprendere un percorso terapeutico. Psicologi e psichiatri non sono mai riusciti a penetrare la sua malattia. Rifiutava le cure, gettava i medicinali. La colpa di ciò che succedeva, secondo lui, non era della sua patologia, bensì di mia madre che non lo amava abbastanza e che gli dava sempre da pensare.

Ometto la descrizione puntuale delle infinite situazioni imbarazzanti che creava, condividendo in casa le sue fantasie malate, spacciate ovviamente come verità fattuale. Mia madre, secondo lui, era una che passava da un amante misterioso all’altro. Oggi il vicino di casa. Domani il collega d’ufficio. Dopodomani un chissà chi incontrato chissà dove.

Fossero stati tutti veri, avrebbe speso metà vita a fare sesso, quella povera disgraziata. Con tutti, ma mai abbastanza con mio padre. Già, perché anche sul sesso era ossessivo-compulsivo e mia madre non lo sopportava più, dovendosi concedere meccanicamente a un uomo che nel gesto sessuale non metteva amore ma solo dimostrazione di virilità e possesso. Un’evidente caso di insicurezza e di fragilità espresso tramite l’uso della forza, atta a mascherare la debolezza.

Era malato. Seriamente malato. Aveva ereditato buona parte delle sue patologie dalla madre, una donna messa molto peggio di lui e per giunta perfida e subdola. Cosa che lui, in effetti, non era. Era molto intelligente, direi brillante. Professionalmente era stimatissimo e godeva di ampia fiducia da parte di tutti. Nella sua vita ha sempre affrontato ogni difficoltà con determinazione e presenza di spirito. Nel rapporto di coppia no: non era capace di affrontare la propria patologia. Anzi, era lei a tenerlo in ostaggio, a difendersi ogni volta che dall’esterno noi si provasse a curarlo. Era come se la parte sana di quell’uomo fosse tenuta in scacco dalla parte malata, dai suoi fantasmi inesistenti.

Violento, come detto, no. Ma non sapremo mai cosa sarebbe successo se un giorno mia madre avesse deciso di separarsi. Di andarsene. Di lasciarlo. Per come era, non credo sarebbe arrivato a sfregiarla con l’acido o, peggio, a ucciderla. Ma di certo, molti dei suoi comportamenti ossessivo-compulsivi somigliavano a quelli dei vari uomini che alla fine, purtroppo, hanno ucciso le loro compagne o le loro ex.

Ripercorrendo per esempio ciò che faceva Filippo Turetta con la povera Giulia Cecchettin vi ho rivisto molto di mio padre, solo più esasperato. Ma l’ipercontrollo, la gelosia, la volontà (o la necessità) di fagocitare fisicamente e mentalmente la propria compagna erano molto simili.

Quindi no: dire che, come ho letto sui social, “il maschio violento non è un malato, è figlio sano del patriarcato“, è una stronzata fotonica, figlia di un’ideologia pseudo femminista che cavalca tragedie personali per tirare l’acqua al proprio mulino mediatico e sociale.

Rifiutarsi di ammettere che la quasi totalità degli assassini o degli stalker è composta da malati è solo un comodo escamotage. Ma secondo voi è sano di mente uno che sta fuori dalla caserma dei Carabinieri, ove c’è la sua compagna a denunciarlo, brandendo un crick e minacciando violenze omicide? Forse che sia sano di mente colui che spara alla donna davanti a tutti e poi s’impicca nel casolare di uno zio, oppure si spara in macchina poche ore dopo? Fatti questi di cronaca reale, mica inventati.

Forse che sia normale che il paziente di una dottoressa la aggredisca nel suo studio e la ammazzi a martellate, o che il marito depresso e in cura dallo psichiatra prenda il fucile e ammazzi la moglie nel sonno? Anche perché, pensa un po’, è accaduto anche il contrario. Una vigilessa in cura dallo psichiatra, anch’ella con diagnosi di depressione, ha preso la pistola di ordinanza e ha fatto la stessa cosa: ha atteso che il marito andasse a letto e gli ha sparato nel sonno. Entrambi sono stati dichiarati incapaci di intendere e di volere al momento del fatto. Peccato che solo sulla notizia dell’assoluzione dell’uomo si siano scatenate le truppe cammellate femministe. Sull’assoluzione della donna, silenzio tombale.

Del resto, la moglie di un collega di mio padre pretendeva di annusare le mutande del marito quando tornava a casa: l’umiliante ispezione corporale era finalizzata a capire se l’uomo fosse stato per caso con altre donne. E guai se quella donna vedeva le ruote della macchina sporche di fango: era la prova provata, secondo quella mente distorta, che il marito si era appartato con delle prostitute in qualche viottolo di campagna. Il fatto che l’uomo girasse sul territorio per lavoro non penetrava nella sua scatola cranica bacata.

Peggio andò a un collega di un vecchio amico. Anch’egli sposato con una gelosa patologica si beccò una padellata in viso a seguito di uno scherzo di pessimo gusto giocatogli da un collega d’ufficio. La moglie lo cercò al telefono senza presentarsi (anche allora non c’erano i cellulari) e purtroppo quello sventurato non era alla scrivania. Il collega, perfido, la riconobbe comunque. Sapeva che era gelosa matta e le disse che era passata a prenderlo sua moglie. Cosa ovviamente impossibile, poiché lei, la moglie, lo stava cercando. Quindi, per quella furia il marito se la stava per forza spassando con qualche donna da qualche parte.

L’ignaro uomo tornò a casa, aprì la porta e dietro vi era la sposa invasata, la quale lo colpì al viso con una padella. Il giorno dopo andò in ufficio col volto tumefatto e tutto ciò che seppe dire fu: “Se scopro chi è stato lo uccido…”. E in effetti bisogna essere bastardi nell’animo per tirare uno scherzo del genere a un poveraccio che ha già nella sua vita la disgrazia di avere sposato una pazza. Perché quello era: una pazza. E a ruoli invertiti, ammettiamolo, con lui a colpirla e lei a prenderle, probabilmente ci sarebbe scappato il morto, banalmente per la differenza di forza fisica.

Quindi no, cari e care mie: le patologie mentali esistono ed è vergognoso negarle pur di dimostrare le proprie tesi prettamente ideologiche. Fatevene una ragione.

Ah, un’altra cosa: anche voi che cercate di riequilibrare la discussione, evitate di dire “non tutti gli uomini ammazzano le compagne“. Sbagliatissimo: implica che quasi tutti lo fanno. In realtà solo una percentuale alla terza decimale compie atti violenti e ancor meno giunge all’omicidio.

Quindi ancora no: la quasi totalità degli uomini non è violenta, non stupra, non stalkerizza, men che meno picchia e ancor men che meno uccide. Trasformare le tragedie riportate in cronaca in aprioristiche crociate contro il maschio è perciò pratica deprecabile e vigliacca. Soprattutto, non risolve il problema. Perché anche quegli uomini, rei di fatti così gravi, vivevano di fantasmi. Proprio come mio padre. Anche quegli uomini erano impermeabili ai tentativi di cura, come mio padre. Solo che loro, a differenza di mio padre, sono arrivati a uccidere.

La soluzione? Non esiste. Poiché dovrebbe passare dalla cura mentale di questi soggetti, i quali ovviamente non si riconoscono come patologici e, anzi, si infuriano ancora di più se provi a spiegarglielo.

Braccialetto elettronico georeferenziato e collegato a una app sul cellulare della donna? Potrebbe essere una soluzione utile per evitare agguati, ma inutile in caso di fatidico “ultimo incontro chiarificatore”. Lì, invece, non bisogna proprio andarci, a meno di essere adeguatemtente accompagnate. E per adeguatamente intendo con tutori dell’ordine. Armati.

Le chiacchiere, le filosofie da social o da salotto pseudo intelletualoide, anche no: servono a zero. Perché non c’è nulla che si riveli inutile a risolvere un problema quanto l’idea che il problema possa essere risolto tramite utopie.

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Pesci, Fukushima e tanti boccaloni

Prosegue l’allarmismo demenziale contro il piano di diluizione delle acque di Fukushima (fonte: https://it.jf-staeulalia.pt/)

Una moria di pesci ricopre le spiagge di Hakodate, a più di 600 chilometri a nord di Fukushima. Un fenomeno già rilevato nel 2009, nel 2014 e 2018 ma dato oggi per “inaudito”. Ovviamente, sono subito apparsi i ciarlatani che sobillano paure anti-nucleariste

Una moria di sardine e altri pesci ricopre le spiagge di Hakodate, una cittadina giapponese sita nell’isola di Okkaido, e viene subito data come “senza precedenti”. Forse in quella cittadina, poiché allargando l’area di osservazione si registrano analoghe morie nel 2009, 2014 e 2018. Quasi che fenomeni di questo tipo abbiano una certa regolarità, sebbene non con le stesse entità e localizzazioni.

Fra le ipotesi più ragionevoli, il brusco abbassamento delle temperature delle acque, come pure una massiccia pressione da parte di vari predatori che avrebbe sfinito e poi spinto verso le piagge i poveri pesci. Ma l’occasione era troppo ghiotta perché i ciarlatani no-nuke non puntassero subito il dito sullo smaltimento delle acque stoccate presso la centrale nucleare di Fukushima.

Nell’agosto scorso è infatti iniziato il piano di diluizione in mare, un piano che si prevede su scala trentennale e solo a seguito di una ulteriore diluizione preliminare pre-sversamento. Praticamente quell’acqua, opportunamente pre-diluita, verrà sversata con volumi quotidiani movimentabili con un secchiello da spiaggia. Ciò poiché la procedura è stata studiata in modo da non alterare i livelli di radioattività naturale, quella cosiddetta “di fondo”. Peraltro, si parla di trizio, un isotopo il cui nucleo presenta un protone e due neutroni, cioè uno in più dell’idrogeno “normale”. Quindi non si tratta di cesio 137 o di polonio 210. Ovvero: piantatela di spargere, voi, veleni ben più pericolosi delle radiazioni stesse.

Gli articoli precedenti

Di tale processo se n’era già parlato in passato, prima descrivendo cosa succederebbe se tutta quell’acqua venisse buttata in una volta sola non nell’Oceano Pacifico, bensì nel lago Maggiore, dimostrando che l’acqua del lago sarebbe comunque rimasta abbondantemente al di sotto delle soglie previste per la potabilità. Detto in altre parole, l’acqua del lago Maggiore, dopo lo sversamento dell’acqua triziata di Fukushima, la si potrebbe tranquillamente bere, fosse solo per le radiazioni.

Nonostante ciò, in occasione dell’inizio del piano di diluizione si scatenarono ancora polemiche e sterili speculazioni, per le quali si commentò in modo puntuale. Inutilmente, a quanto pare.

Ciarlatani a pesca, boccaloni che ci cascano

La moria di Hokadate è stata un’occasione troppo ghiotta per non cavalcare ancora l’idiozia delle acque di Fukushima. Diversi media hanno infatti riportato la notizia della moria, alcuni limitandosi a descrivere il fatto, come ogni giornale serio dovrebbe fare in attesa di conferme sulle cause. Altri, invece, hanno subito sventolato “lo spettro di Fukushima”, citando una fantomatica comunità scientifica contraria allo sversamento.

Chiariamoci, non è che fra gli scienziati non ci siano idioti e incapaci, come pure la categoria non è avulsa da furbastri speculatori o da persone talmente ideologizzate dal giustificare balle colossali pur di tirare l’acqua alle proprie posizioni pseudo-ambientaliste. Ma a tutto c’è un limite. O, almeno, dovrebbe esserci.

Le spiagge oggetto di moria sono infatti a più di 600 chilometri a nord rispetto a Fukushima: fantastico che le radiazioni abbiano compiuto una traiettoria talmente subdola da colpire lì, sull’isola di Hokkaido, senza ammazzare alcunché nel mezzo. Bastano tre neuroni per capire che tra i due fatti non può esservi alcuna correlazione.

Ciò non bastasse, le modalità stesse dello smaltimento aiutano a capire le dimensioni stellari della boiata. Il piano è su base pluridecennale: dai 30 ai 40 anni. Quattro mesi, da agosto a dicembre, sono un terzo di anno. Anche ipotizzando un rilascio costante e omogeneo di quelle acque (si ripete: già precedentemente diluite ante-sversamento) si parla di un volume che al momento non arriva forse all’1% di tutta l’acqua stoccata a Fukushima. Un niente. A conferma, al momento non si rilevano alterazioni di radioattività nelle zone stesse di rilascio, figuriamoci a distanza di 600 e passa chilometri.

Conclusioni, siamo alle solite: subdolo allarmismo basato su ipotesi bislacche, paragonabili a quelle dei no-vax quando un povero cristo muore per arresto cardiaco. Perché alla fine, a ben guardare, l’ambientalismo più becero è ormai ampiamente sovrapposto al complottismo antivaccinista.

Questo si è infatti fuso con i no-5G, con i complottisti delle Torri Gemelle e con i negazionisti dello sbarco sulla Luna, senza farsi mancare nulla nemmeno sul fronte di pesticidi, ogm e carni coltivate. Una ghenga di sbullonati facilmente manipolabili da chi, al contrario, tutto è tranne che scemo e trae vantaggi personali o associativi da sparate come quelle contro Fukushima.

Nel frattempo, però, la parte sana del Mondo va avanti, includendo il nucleare fra le fonti di energia sulle quali investire per contrastare i cambiamenti climatici. Un dato finalmente emerso dalla recente COP28 svoltasi a Dubai.

Ah, già, che sciocco: i complottisti sono spesso anche negazionisti climatici. Tutto torna.

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A EcoBrain, nucleare, clima, carni coltivate, ogm, glifosate e molto ancora

EcoBrai-Defez-Sandroni-Giliberto

Il 19 novembre 2023 si è tenuto EcoBrain, evento dedicato alla scienza declinata su diversi fronti: nucleare, clima, carni coltivate e agricoltura, con un approfondimento speciale sulle colture geneticamente modificate e l’erbicida glifosate

Un insieme di argomenti molto diversi fra loro, trattati in specifici interventi tenuti da altrettanti esperti. Fra questi, moderati da Jacopo Giliberto, giornalista de il Foglio, Roberto Defez e Donatello Sandroni, cioè chi scrive, sono stati coinvolti per approfondire il tema degli ogm ma non solo: biologico, biodinamico, veganesimo, glifosate, agrivoltaico e prodotti tipici a confronto con le carni coltivate.

Di  seguito il video per rivedere la sessione:

Da parte mia, ho potuto apprezzare una sala ricca di giovani. Tutti interessati a scoprire e a capire, senza preconcetti né ideologie condizionanti. Un piacere che provo sempre quando posso trasferire informazioni, dati, evoluzioni storiche, che a dei giovani possono essere tranquillamente sfuggite.

Magari con l’augurio che un domani essi stessi possano svolgere la medesima funzione una volta giunti all’età matura, quella in cui cioè non si ragiona più guardando troppo spesso solo a se stessi, bensì si ragiona molto più guardando a chi ci seguirà nel tempo.

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Per accedere agli altri contenuti di EcoBrain:

Diana Massai, Stefano Biressi e Sergio Saia – Il cibo del futuro è coltivato in laboratorio?

Matteo Miluzio – Capire la crisi climatica:

Matteo Ward – L’impatto del Fast Fashion su ambiente e clima:

Simone Bleynat – “E le scorie dove le mettiamo?”:

Pasquale Abbatista – Aviazione sostenibile: il futuro dei carburanti

Marco Coletti: I Misteri della radioattività, presentazione del libro “Radioactivity”:

Il futuro dell’ambientalismo, dialogo con Ia Anstoot:

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Glifosate: no, non provoca né cancro né autismo

Usi di glifosate in America e incidenza di autismo e tumori: no correlation…

Oggi, 16 novembre 2023, si dovrebbe decidere il destino europeo di glifosate, erbicida promosso da ogni autorità mondiale di regolamentazione ma osteggiato dalle lobby eco-bio. Di seguito, le analisi comparative fra usi di glifosate in America e le incidenze statistiche di 20 tipi di tumore, come pure dei disturbi dello spettro autistico: nessuna correlazione risulta agli atti. Fatevene una ragione

Accusato di ogni malefatta possibile e immaginabile, glifosate è da anni sotto attacco senza però mai riuscire a dimostrare de facto che quanto affermato corrisponda al vero. Si sono infatti moltiplicate le accuse all’erbicida di provocare malanni laqualunque, oppure danni ambientali catastrofici, senza però sfuggire a possibili critiche per i metodi seguiti nella produzione di tali pseudo-ricerche colpevoliste.

In sostanza, i risultati degli studi proibizionisti non sono mai risultati coerenti con i reali scenari sanitari e ambientali, o per le modalità e i livelli di esposizione, o per le metodiche utilizzate, o ancora per l’estrapolazione di dati che sanno più di numeri al lotto che di prove scientifiche. In sostanza, si affermano danni e rischi che di fatto non si realizzano nel mondo reale.

Una raccolta di link utili in tal senso è scaricabile in pdf.

A conferma, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha confermato per l’ennesima volta che nulla vieta a glifosate di essere rinnovato nel Vecchio Continente. E ciò dopo l’analisi di migliaia di pagine di studi scientifici svolti in good laboratory practise (cosa che quasi mai avviene nelle ricerche “sedicenti indipendenti”). In sostanza, dal punto di vista scientifico glifosate non propone rischi inaccettabili né per la salute, né per l’ambiente.

Anche su tale parere finale di Efsa è stato realizzato un apposito documento scaricabile.

Le truppe cammellate anti-glifosate non si arrendono

Nonostante il ponderoso tomo di Efsa, coerente con decine di altri ponderosi tomi di Epa, Echa, Fao, Oms e di ogni altra Autorità sanitaria e ambientale globale, il fronte proibizionista continua a produrre accuse dal sapore catastrofista. Ciò al fine di influenzare mediaticamente le decisioni, ormai solo politiche, dell’Europa sull’erbicida.

Fra le accuse più ataviche vi è quella di provocare il cancro. Si è quindi andati a realizzare un confronto fra usi di glifosate negli Stati Uniti e incidenza di una ventina di tumori diversi, Stato per Stato: nessuna correlazione appare fra i livelli d’uso dell’erbicida e l’incidenza dei tumori presi in considerazione.

Anche in questo caso si è realizzato un apposito report ricco di numeri e grafici, scaricabile anch’esso in pdf.

Non paghe di ciò, le lobby eco-bio, armate da uno stuolo di pseudo scienziati di ben pochi scrupoli, hanno tirato fuori persino l’accusa a glifosate di provocare autismo. Ovviamente, così come appare da ogni documento sopra riportato, nemmeno su questo fronte appare una correlazione fra l’erbicida e i disturbi dello spettro autistico. E quindi avete un altro documento in pdf da scaricare e leggere.

Bene peraltro ricordare come una correlazione fra due variabili non è affatto detto implichi un nesso causale. Cioè, anche se due variabili salgono o scendono di pari passo ciò non dimostra che una influenzi l’altra. Si chiamano infatti “correlazioni spurie“, prove cioè di un nesso causale accertato.

Se però non risulta possibile realizzare nemmeno una correlazione spuria, diventa molto arduo tentare di collegare fra loro due variabili. Ed è infatti ciò che avviene sia per il cancro, sia per l’autismo. Per lo meno negli Stati Uniti, Paese dove glifosate è nato e dove viene ampiamente utilizzato da oltre 50 anni.

Poi, va da sé che vi ho dato una tale mole di informazioni da leggere che forse l’uno per mille di voi si prenderà la briga di approfondire. Ed è per questo che i ciarlatani hanno vita facile e spesso vincono: a loro basta strillare a casaccio una qualsiasi accusa e il gioco è fatto. Uno ricca pletora di giornali privi di scrupoli gliele rilanceranno per avere il loro fottuto scoop e per voi sarà solo paura.

Immotivata, ovviamente. Ma se non trovate il tempo di leggere le cose come stanno davvero, la colpa è vostra e solo vostra…

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Concorsi di bellezza, fra contrapposti razzismi e altre amenità

Ignoranza, stupidità e cattiveria: ma bellissime… (foto freepick)

L’elezione di una ragazza bianca come Miss Zimbabwe ha generato sdegno nel Paese africano, ove la popolazione è per il 98% nera. I precedenti, alla rovescia, furono Denny Mendez in Italia e Yityish Aynaw in Israele. Con Miss Olanda che per giunta è un trans…

Personalmente, ho sempre trovato banali, noiosi e inguardabili i vari concorsi di bellezza, femminili o maschili che siano. Edonismo, narcisismo e superficialità dominano infatti incontrastati e a ben poco sono serviti gli espedienti cultural-intellettuali – o sedicenti tali – con cui gli organizzatori cercano di arricchire le proprie kermesse. E no: la pace nel Mondo avrebbe anche un po’ rotto gli zebedei come sogno nel cassetto di giovani a cui probabilmente interessano ben altre le cose.

Di recente è però avvenuto un caso che ha attratto l’attenzione su uno di questi concorsi, ovvero quello per Miss Zimbabwe, Paese africano. Concorso che è anche apripista per la candidatura a Miss Universo. A vincere è stata infatti Brooke Bruk-Jackson, modella bianca, per giunta biondissima. Al grido di “Non ci rappresenta!” si sono levate subito le proteste razziste, ma alla rovescia: neri verso bianchi anziché bianchi verso neri. Peraltro, il “Non ci rappresenta!” è più o meno la stessa argomentazione usata dai fascio-lego-razzisti italiani nei confronti di modelle/i o atlete/i di colore che portino lustro nelle competizioni internazionali.

Basti pensare alle critiche, sterili e becere, che fioccano da anni su Paola Egonu, la pallavolista che gareggia in azzurro nonostante la sua deliziosa pelle ebano. Per giunta, la simpatica spilungona di colore ha dichiarato di essersi innamorata alternativamente di uomini e donne. Cioè bisessuale dichiarata. Apriti cielo: se si presentasse a Pontida durante l’annuale “rave” leghista rischierebbe di essere servita insieme alla polenta taragna.

Nel 1996 fu invece Denny Andreína Méndez de la Rosa, Denny Méndez per gli amici, a scatenare le medesime polemiche viste oggi in Zimbabwe. Denny è infatti di colore, ma ha vinto Miss Italia arrivando poi quarta a Miss Universo l’anno successivo. Attrice ed ex modella dominicana, la graziosissima Denny ha infatti sì cittadinanza italiana, ma non lo è di origine. I suoi splendidi capelli ricci abbinati al carnato caraibico, in effetti, in Italia non trovano molti termini di paragone. Quindi non rispetta quell’idiozia dell’identità di razza cui si rifanno da sempre i trogloditi nostrani.

Ma gli idioti non conoscono confini. Infatti, anche Gerusalemme inciampò in polemiche capziose sull’elezione a Miss Israele di Yityish Aynaw, detta “Titi”. Anch’ella modella (poteva forse non esserlo, bella com’è?) fu incoronata la più bella del Paese nel 2013, partecipando di conseguenza anche all’edizione dello stesso anno di Miss Universo. Dov’era la stranezza? “Titi” era di origine africana, nella fattispecie etiope. Pazienza, direbbero le persone intelligenti. Infatti, a criticare tale vittoria furono i soliti imbecilli di stampo ortodosso.

Con la vittoria di Brooke Bruk-Jackson in Zimbabwe si è potuto finalmente provare in modo scientifico che idiozia, ignoranza e cattiveria sono caratteristiche trasversali alle razze: basta che a vincere sia qualcuno di razza differente a quella più numerosa nel paese et voilà: “Non ci rappresentahhahahh!!!11!1!”. Ovviamente declinato nelle diverse lingue del Mondo.

E se a vincere è un Trans?

Poteva forse la disamina sulle Miss finire sul tema bianco/nero? Non che non poteva. In Olanda a vincere il titolo di Miss nazionale è stato un transessuale, Rikkie Kolle. Ex Rik. Una bellezza cristallina, per quanto i gusti siano e restino pur sempre gusti. Ma il caso è deflagrato per il fatto che Miss Olanda è nata… uomo. La giuria ha infatti deciso di dare vita a una “storia forte con una missione chiara”. E in effetti, nell’ambito della propaganda transgender va dato atto agli Olandesi di aver lanciato un messaggio fortissimo.

Di per me, ho dato alla notizia poca importanza, visto che la mia attenzione ai concorsi di bellezza, come dicevo, è pressoché nullo. Ma poi mi sono chiesto: al di là degli aspetti di genere, per diventare Rikke il buon Rik avrà dovuto sottoporsi a una sfilza di interventi chirurgici e di modifiche estetiche pesanti. Quindi, non avrebbe dovuto aver nemmeno accesso a un concorso di bellezza che, di norma, dovrebbe premiare le bellezze “nature”, cioè nate come mamma le ha fatte.

Viene cioè da chiedersi se Rikke fosse nata davvero donna, ma bruttina, e si fosse completamente rifatta grazie a bisturi e altri espedienti medico-estetici, la giuria olandese l’avrebbe premiata comunque come la più bella dei Paesi Bassi? Vi è da dubitarne seriamente. Forse, accettando tale prassi, meglio sarebbe indire un concorso per il miglior chirurgo plastico. “Miss & Mr. Bisturi”. Non suona neanche male.

Ergo, anche nel caso olandese più che il buon senso poté l’azione di lobby e l’interesse mediatico. Con buona pace del buon senso stesso.

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