Zootecnia e disinformazione (Parte 2/3: competizione per il cibo)

L’86% di ciò che alimenta i bovini non sarebbe commestibile per l’uomo

Oltre ai consumi di acqua, trattati nella puntata precedente, anche la competizione per il cibo fra uomo e animali è tema ricorrente nelle polemiche anti-zootech. La Fao però non la pensa esattamente allo stesso modo. Vediamo perché

Dopo aver approfondito il tema zootecnia-acqua, è bene sezionare anche quello della supposta competizione per il cibo fra uomo e animali da allevamento. L’argomento è molto sfaccettato, perché a livello globale le modalità di allevare bestiame sono quanto mai diversificate. V’è infatti un’abissale differenza fra la pastorizia nomade degli altipiani africani e gli allevamenti intensivi dei Paesi occidentali. Nel mezzo, la zootecnia brada delle grandi pianure brasiliane o argentine, o le praterie australiane ove pascolano liberamente milioni di pecore.

Nel primo caso, quello dei Paesi estremamente poveri, i pastori gestiscono piccole greggi di ovini, soprattutto capre, i quali riescono a nutrirsi perfino di cespugli rinsecchiti e spinosi. Quindi, per quanto poco producano in termini di latte e di carne, sono una risorsa preziosa per le popolazioni locali, poiché convertono alimenti inutilizzabili per l’uomo in altri di assoluto valore nutrizionale. E si dubita molto che i pasionari anti-zootech accetterebbero di rosicchiare, loro, quei cespugli spinosi.

Nel secondo caso, ovvero gli allevamenti intensivi, la produttività è enormemente superiore, grazie alla grande disponibilità per le bestie quanto a cibo e acqua. Le cure veterinarie sono al top e la gestione meccanizzata dei campi e degli allevamenti permette a poche persone di amministrare produzioni immense di latte e di carne. Basti pensare all’Olanda, cui è stato dedicato uno specifico articolo, visto che a dispetto delle sue ridotte estensioni è in grado di esportare il doppio dei miliardi di euro agroalimentari rispetto all’Italia, ben più estesa e favorita dal clima.

La coltivazione intensiva delle colture e la raccolta meccanizzata permettono di concentrare su piccole superfici grandi produzioni di alimenti

In mezzo, come detto, i milioni di capi di bestiame che vivono bradi nelle praterie, rappresentando una fonte importante di cibo senza dover ricorrere a strutture e pratiche tipiche della zootecnia intensiva di stampo europeo o nordamericano.

I conti vanno quindi sempre fatti tutti, considerando la cosa dal punto di vista globale e stando lontani da pulsioni ideologiche che ben poco hanno a che vedere con i numeri reali.

 

La raccolta meccanizzata del fieno permette di portare alle mandrie elevate quantità di alimenti, riducendo gli spazi di coltivazione

Cosa dice la Fao

Davvero per un chilo di carne si devono impiegare decine di chili di cereali, come rilanciato da articoli, servizi tv e infografiche varie? Ni. E pare proprio sia più no che sì. Almeno stando a quanto diffuso dalla stessa Fao, dalla quale sono giunti studi che dimostrerebbero come a livello mondiale i bovini da carne consumino in realtà alimenti che per l’86% non sarebbero tali per l’uomo.

Il fatto che siano ruminanti permette infatti loro di estrarre nutrimento anche da cellulosa e lignina, polimeri vegetali inattaccabili dai monogastrici come l’uomo. Ecco perché i bovini (così come gli ovi-caprini) riescono a prosperare anche mangiando solo erba nelle Pampas argentine o nelle praterie del Commonwealth, mentre l’uomo vi morirebbe di fame.

 

Solo il 7-13% delle produzioni di carne bovina dipendono da sistemi di allevamento intensivi, questi sì basati soprattutto sulla coltivazione di cereali

 

Quindi una prima grande distinzione va fatta fra allevamenti di carattere “brado” e allevamenti intensivi di stampo prevalentemente occidentale. Questi ultimi, secondo le ricerche svolte, rappresenterebbero solo dal 7 al 13% delle produzioni mondiali di carne, mentre la rimanente quota deriverebbe da altre forme di allevamento, come quello all’aperto, appunto. Se è pur vero che circa un terzo della produzione cerealicola mondiale è dedicata alla zootecnia, va infatti ricordato che da quei campi coltivati i bovini possono estrarre anche ciò che sarebbe indigeribile per noi, convertendolo in alimenti alquanto nobili e ricchi. Si deve cioè guardare anche alla tipologia degli output e non solo a quella degli input.

Solo il 14% di quanto viene somministrato ai bovini da carne andrebbe infatti in sovrapposizione con le nostre esigenze alimentari. Il restante 86%, come detto, è da considerarsi cibo valido per i bovini, ma non per noi.

Dei 6 miliardi di tonnellate di sostanza secca che la ricerca Fao indica come necessari alla produzione mondiale di carne, 2,76 miliardi deriverebbero da pascoli spontanei (46%); 1,14 miliardi da residui colturali come paglia o stocchi (19%); 0,96 miliardi da insilati e da sottoprodotti non edibili dall’uomo (16%, ovvero 8% a testa); 0,3 miliardi da panelli post-estrazione di oli vegetali (5%). Ecco perché solo il 14% deriverebbe dai cereali o da altre forme commestibili anche per l’uomo.

 

Il 46% circa dell’alimentazione dei bovini deriva da pascoli e praterie

 

Rimodulando quindi il consumo di cereali per un chilo di carne in base ai dati globali di cui sopra, si evince un quantitativo di soli 2,8 chilogrammi. Molto inferiore cioè (circa un decimo) a quanto sostenuto da molteplici fonti, tutte schierate ovviamente contro la zootecnia. Magari anche a costo di giocare un po’ sporco coi numeri quando faccia loro comodo.

Infine, sempre secondo i medesimi ricercatori, le fonti di cibo animale sarebbero di estrema importanza proprio per l’uomo, contribuendo per il 18% al consumo globale di calorie e per il 25% in termini di proteine. Non certo trascurabili nella dieta nemmeno gli apporti di riboflavina, ferro e vitamine come A e B12, fondamentale quest’ultima nello sviluppo fisico e, soprattutto, mentale.

Perché al di là del valore dei mangimi consumati, si deve anche soppesare l’importanza nutrizionale degli alimenti ottenuti.

Peraltro, anche uscendo per un attimo dal binomio bistecca-cereali, dobbiamo ricordare come per produrre un chilogrammo di carne di pollo serva oggi meno della metà del mangime che serviva negli Anni 50 o 60. Quindi, ancora una volta si dimostra come stia nella tecnologia e nella ricerca la via da seguire per il futuro, a dispetto dei troppi media che puntano il dito contro la zootecnia a prescindere, come se questa fosse il Diavolo in Terra e il Tofu fosse il nuovo Messia salvifico.

Chiarito quindi che sarebbe meglio guardare un buon telefilm anziché seguire certe trasmissioni televisive – tipo quelle di finto approfondimento condotte da improbabili pasionarie, o da ingannevoli “eroi” dell’informazione – nella prossima puntata si riassumeranno gli aspetti legati alle emissioni di anidride carbonica attribuite alla zootecnia. Perché in tal caso il diavolo esiste sì, ma sta ancora una volta nei dettagli…

 

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