Coronavirus in Italia: e se i pesticidi facessero bene?

Più pesticidi si adoperano, meno Covid-19 c’è. Coincidenze? No guadda, io noccreto eh? (Crozza-Sen. Razzi)

No: è ovvio che i pesticidi non facciano bene, se non alle colture che ci danno cibo tre volte al giorno. Quindi non spruzzatevi con qualche prodotto nella speranza di immunizzarvi dal Covid-19. Questo è un articolo volutamente ironico, atto solo a dimostrare coi numeri quanto siano farlocche le correlazioni che sentite in tv su agricoltura intensiva e Cov-Sars-2.

Pare sia ormai l’argomento del giorno: Covid-19 usato come una mazza chiodata contro l’agricoltura intensiva. Mi raccomando: che sia intensiva. Se no si rischia magari di far percepire tutta l’agricoltura in sé come una cosa cattiva e che inquina, inclusa quella dei propri compari. Aggiungendole invece l’aggettivo “intensiva“, nella mente del cittadino-consumatore si scava una sorta di spartiacque psicologico fra qualcosa di raffigurato come pestifero da una parte e altre forme di agricoltura descritte al contrario come salvifiche, quasi taumaturgiche.

Agricolture che non userebbero concimi, non userebbero pesticidi, farebbero bene all’ambiente e non inseguirebbero le “logiche del profitto“.

Primo punto: vanno di letame e vari prodotti organici similari. E sappiamo bene quali impatti emissivi abbiano tali concimi, anche per via degli impatti indiretti degli animali che servono a produrli, peti metaniferi delle vacche inclusi.

Secondo punto: non è vero, di pesticidi ne usano anche più degli altri e spesso pure più tossici per l’uomo e per l’ambiente.

Terzo punto: neanche questo è vero, anzi. Se si misurano gli impatti ambientali per unità di cibo prodotto anziché per unità di superficie utilizzata è esattamente il contrario.

Quarto punto: il top del falso, visto che un chilo di broccoli bio può arrivare a costare il doppio di un chilo di broccoli convenzionali. Un aspetto cui si dedicherà in futuro un approfondimento specifico, perché lo merita tutto, visto che quella del “profitto” pare essere per i soliti noti una vera ossessione solo quando il profitto sia quello degli altri.

A parte la falsità oggettiva di tali raffigurazioni “bucolico-Vs-demoniaco”, vi è poi da ricordare come tali fonti di approvvigionamento alimentare arrivino a riempire forse forse il 10% delle pance degli abitanti del mondo occidentale, togliendo dalle loro tasche molto più del 10% del denaro. Infatti il peso venduto è molto inferiore al denaro costato. Una discrepanza che ha davvero del surreale quella di spendere di più per avere quando va bene la stessa cosa che si potrebbe avere spendendo molto meno, anche in termini di costi occulti sanitari e ambientali.

 

Psicologia di una mistificazione

Una siffatta distorsione percettiva è stata resa possibile da un continuo flusso di marchette apologetiche mascherate da servizi giornalistici, grazie ai quali tali forme di agricoltura alternativa sono oggi guardate con maggiori aspettative e fiducia.

Ma l’apologia (spesso interessata) non sta mica in piedi da sola: ci vuole sempre un contraltare da demonizzare, appunto, perché al pollo… scusate, al consumatore, bisogna dare un punto di riferimento relativo da cui partire, facendoglielo considerare negativo se si vuole che poi egli percepisca come positivo ciò che è di nostro interesse. E che quindi cacci la lira e sia pure tutto contento.

Ma poi, agricolture alternative rispetto a cosa? Pesticidi no, abbiamo detto, perché almeno 21mila tonnellate di sostanze attive fra quelle distribuite ogni anno in Italia sono autorizzate in biologico. E tale cifra, ricavata dall’Istat per il 2018, è solo l’ammontare dei fungicidi a base di rame e zolfo. Altre quattromila tonnellate circa sono rappresentate da sostanze attive di tipo inorganico, oli, insetticidi e aracnicidi, anch’essi ammessi in biologico. Sommando infine i prodotti “vari” si arriva in sostanza a quasi 26mila tonnellate delle 60mila applicate. Ovvero, il 43% di tutti i prodotti fitosanitari impiegati in Italia (sostanze attive) sarebbe autorizzato pure in bio. Quindi, o sono “sante” sempre, queste benedette molecole, o sono “sante” mai.

Infatti, che tali pesticidi li usi un agricoltore “integrato” o uno “biologico” fa poca differenza: un trattamento è sempre un trattamento, indipendentemente da chi lo esegua.

 

Sopra: un pestifero agricoltore intensivo spruzza veleni sui vigneti da cui verrà il vinaccio che ci farà venire il cancro.
Sotto: un romantico viticoltore bio protegge le sue uve con prodotti naturali con cui farà un vino portatore di salute eterna

 

Quindi appare vieppiù bizzarro che dai media i “pesticidi” vengano attribuiti praticamente solo all’agricoltura intensiva, rafforzando l’idea, sbagliata e maramalda, che le altre forme di agricoltura non ne usino affatto, quando così non è.

 

Covid-19 e pesticidi: quale verità?

Precisati questi punti fondamentali, passiamo a valutare le supposte influenze sull’epidemia di Covid-19 che secondo taluni andrebbero addossate all’agricoltura. Intensiva, ovviamente.

Essendo gli agrofarmaci il primo termometro per valutare il livello di intensità produttiva agricola, essi potrebbero essere utilizzati come ottimi marker, provincia per provincia, in modo da confrontare i quintali impiegati con i contagi misurati.

Nella puntata precedente si sono già analizzati tali rapporti per gli Stati Uniti, ove sono corse incontrollate le solite voci, dei soliti filibustieri, circa le influenze sul Covid-19 niente po’ po’ di meno che di glifosate. Fake news, ovviamente.

Oggi si è ritenuto d’uopo ripetere il gioco, perché di gioco si tratta, qui in Italia. D’altronde, se si lanciano accuse all’agricoltura intensiva di amplificare addirittura delle epidemie, senza mai portare prove, mica si penserà che le risposte debbano essere monoliticamente scientifiche. Se qualche correlazione spuria viene vista come prova schiacciate di qualsivoglia tesi bislacca, tanto vale rispondere con anti-correlazioni altrettanto spurie che “dimostrino” l’assenza di legame fra agricoltura, “pesticidi” e coronavirus. Con una marcia in più dal punto di vista della significatività statistica, però, come si vedrà nei paragrafi successivi.

 

Dati & Dati

Osservando i dati Istat regionali relativi all’impiego di sostanze attive a uso fitosanitario (anno 2018), si scopre come la Regione più colpita dall’epidemia, la Lombardia, usi solo 8.340 tonnellate di agrofarmaci, mentre il vicino Veneto, molto meno toccato dall’epidemia, ne usa 19.328, cioè più del doppio.

A voler fare anche noi i maramaldi, scimmiottando alla rovescia certi personaggi in vena di allarmismo, si potrebbe addirittura ipotizzare che, visti i dati, i “pesticidi” funzionino molto bene come antivirali. Del resto, lo dicono i numeri: più se ne usa, meno virus c’è. Fosse avvenuto il contrario, del resto, sarebbe stata considerata una prova schiacciante che i “pesticidi” sono colpevoli dell’epidemia al di là di ogni ragionevole dubbio. Quindi perché non divertirsi a tirare la palla in campo avverso e chiedere ai soliti ciarlatani di dimostrare, loro, che la nostra tesi odierna non sta in piedi? Ogni tanto lo scambio dei ruoli andrebbe previsto per Legge…

Non ci credete che i pesticidi prevengano dal coronavirus? Meno male: vuol dire che siete normali di comprendonio. Quindi titolati per giocare insieme alla dimostrazione più bislacca della storia.

Osserviamo i grafici prodotti su base provinciale: tranne qualche anomalia come quella di Verona (chissà quali complotti staranno dietro tale discrepanza…), sembra proprio che le province a maggior impiego di pesticidi siano quelle meno colpite dal Covid-19. Anzi, parrebbe vi sia una correlazione inversa fra quintali impiegati e contagi.

Di seguito sono riportati questi dati raccolti in appositi grafici. Va da sé, lo ripeto per gli eventuali duri di cervice, che non vi è alcuna correlazione fra uso di “pesticidi” e preservazione dal Covid-19. I due fenomeni non hanno fra loro il benché minimo legame. Né in un senso, né nell’altro, sia chiaro.

Si è solo ritenuto divertente giocare un po’ a fare il “ciarlatano del giorno“, facendo finta che un grafico di correlazione inversa possa essere la dimostrazione scientifica di qualcosa. Con un aspetto in più: mentre una correlazione diretta non prova affatto che la variabile A abbia influito davvero sulla variabile B (per esempio alla crescita di A corrisponde una crescita di B), non vi è proprio nulla da discutere quando alla crescita di A corrisponda un calo di B.

Correlation is not causation, si sa. Mentre no-correlation è per forza una no-causation. Mi spiego meglio: di certo, tali correlazioni inverse non sono la prova che i “pesticidi” influiscano beneficamente sulle infezioni da coronavirus. Ma altrettanto di certo si deve osservare come non influiscano maleficamente come affermano diversi ciarlatani. Ripeto: A e B non sono in tal caso correlabili in alcun modo, né in un senso, né nell’altro.

Precisato questo, è bene lasciare la parola ai grafici.

 

In Lombardia pare proprio che non vi sia correlazione fra numero di positivi e quintali di pesticidi usati. Dove più si usano pesticidi, meno contagi ci sono

 

Anche in PIemonte le province più tipicamente vocate all’uso di pesticidi, come Cuneo, cioè le più agricole, brutte e intensive, pare siano quelle con il miglior rapporto contagiati/pesticidi usati. Il mistero s’infittisce…

 

Pure l’Emilia-Romagna conferma il trend, con province come Ravenna e Ferrara in cui l’uso di pesticidi pare abbia reso gli abitanti degli Highlander immortali (o saranno le bistecche di castrato nella prima e la salama da sugo nella seconda? Mah…)

 

Accidenti a Verona: tutto filava liscio, poi arriva lei e rompe le uova nel paniere. Allora guardiamo solo le province a fianco, che la tesi regge meglio (un po’ di Cherry picking è regola aurea quando si vuole fare i ciarlatani)

 

Se si selezionano alcune province a caso (bugia) si vede chiaramente come quelle più intensamente agricole e che usano più pesticidi sono le meno toccate dal Covid-19. Buone notizie per Treviso, terra di Prosecco, dove gli abitanti fanno comitati No-Pesticidi senza manco sapere cosa siano e cosa servano

 

Conclusioni:

No: l’agricoltura intensiva non è causa in Italia dell’espansione del coronavirus. Questa è l’unica parte “seria” che vorrei teneste a mente.

No: i pesticidi non prevengono dal Covid-19, ma è stato divertente mostrarvi quanto si possono prendere per i fondelli le persone con qualche grafico alla cazzo.

No: le fonti sedicenti autorevoli, vuoi accademiche, vuoi giornalistiche, che vi hanno messo in testa le stupidaggini anti-agricoltura e anti-zootecnia non sono né disinteressate, né oneste. In futuro, date retta a Zio Tello, ignoratele…

 

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