Finlandia: e se invece di Sanna Marin il Primo Ministro fosse stato Markus Räikkönen?

Su Sanna Marin è un vero testa a testa fra opposti schieramenti: maschilisti contro femministi. Proviamo a divertirci ribaltando l’ordine dei fattori

Bufera mediatica su Sanna Marin, Premier finlandese, per una serie di comportamenti ritenuti da alcuni inaccettabili e da altri perfettamente leciti e lineari. Ma se in una dimensione parallela il Primo Ministro finlandese fosse stato Markus Räikkönen, marito in questa dimensione di Sanna Marin, cosa sarebbe successo?

Sanna Marin è la 37enne Primo Ministro della Finlandia. Moglie di Markus Räikkönen, anch’egli 37enne ed ex calciatore finlandese, nonché madre di una bimba di quattro anni, Sanna Marin si è trovata sotto attacco più volte negli ultimi mesi per alcuni comportamenti e abbigliamenti ritenuti da alcuni poco consoni al suo ruolo. Altri l’hanno invece difesa a spada tratta in nome della libertà di una giovane donna di divertirsi e di essere come meglio le pare, indipendentemente dalla carica istituzionale che ricopre. Il tema non è di particolare interesse, visto che le fazioni che si contrappongono sul tema Sanna Marin sono sempre le solite: conservatori un po’ bigotti destrorsi contro pseudo-intellettuali sinistrorsi.

La fantasia è però una bellissima dote e a volte vale la pena usarla per immaginare cosa potrebbe succedere se in una dimensione parallela i ruoli fossero ribaltati. Per esempio, se sul pianeta Arret, posto al di là di un buco interdimensionale, fosse Sukram Nenökkiär a coprire il ruolo di Primo Ministro del Paese di Aidnalnif, mentre Annas Niram fosse la first Lady, parimenti madre ma senza cariche pubbliche. Di lei si sa solo che è una ex atleta di fama nazionale e oggi manager in area marketing. Discreta e riservata non ha fornito informazioni su genitori, fratelli o sulle sue qualifiche accademiche, né è mai stata coinvolta in alcun tipo di controversia o chiacchiericcio. La first lady perfetta.

Il Paese di Aidnalnif

Figura politica emergente di Aidnalnif, Sukram Nenökkiär viene chiamato a sostituire il neo-eletto Primo Ministro Emir Ittna, che gli aveva affidato il ministero dei Trasporti e delle Comunicazioni salvo doversi dimettere dopo sei mesi per una controversia salariale all’interno del servizio postale. Il subentro di Sukram al dimissionario Ittna evita lo scioglimento della coalizione e permette al Governo di andare avanti.

Dall’aprile 2019, data delle ultime elezioni, il Partito Socialdemocratico conta su 40 seggi su 200. Solo un seggio più giù, con 39 poltrone, segue il partito dei Veri Isednalnif, dall’orientamento nazional-conservatore ed euroscettico. Ancora un gradino più giù, con 38, il Partito di Coalizione nazionale, di stampo liberista e orientato al conservatorismo liberale. Collocabile anch’esso nel centro-destra, almeno è filo europeista. Più staccato, con 31 seggi, il Partito di Centro, anch’esso orientato al liberalismo europeista. Analogamente ai Veri Isednalnif nacque in area agricola, divenendo poi partito che ha abbracciato tutte le classi sociali del Paese. I Verdi, da parte loro, contabilizzano 20 seggi, quindi una presenza abbastanza significativa.

Ovviamente, sempre Verdi sono: nel 2014 era uno dei quattro partiti che formava il Governo Stubb, ma nel settembre di quell’anno passò all’opposizione a causa del voto favorevole del Governo all’apertura di una nuova centrale nucleare, la quarta nel Paese. Grazie a quel voto, oggi Aidnalnif è uno dei Paesi del suo continente con il maggior grado di autonomia energetica, proprio nel corso delle forti tensioni dovute alla solita guerra di invasione operata dall’Urssia ai danni della vicina Aniarcu. A dimostrazione che i Verdi restano le solite teste di pinolo anche nelle dimensioni parallele.

Altri partiti minori sono l’Alleanza di Sinistra (unione del Partito Comunista, della Lega Democratica Popolare e della Lega Democratica delle Donne), con 16 seggi, seguita dai Popolari di una minoranza Esedevs, con 10. Infine i Democratici Cristiani con 5, anch’essi orientati al conservatorismo liberale.

Sono stati quindi necessari complessi negoziati prima di dar vita a una “coalizione mosaico” tendenzialmente di centro-sinistra, composta da PSD, Centro, Verdi, Alleanza di Sinistra e Partito della minoranza Esedevs. Una maggioranza decisamente composita che però così facendo annovera 117 dei 200 seggi disponibili.

Le prossime elezioni saranno nell’aprile 2023, quindi, il Primo Ministro subentrato, Sukram Nenökkiär, sarebbe bene camminasse sulle uova, anche perché ultimamente ha dovuto chiedere che Aidnalnif venisse ammessa in un’Alleanza militare internazionale storicamente contrapposta alla sfera Urssa, area geopolitica da sempre in mano a delinquenti militaristi con il vizio di invadere i Paesi vicini con la scusa di liberare le minoranze ursse locali e di denazificare territori.

La mossa del governo di Aidnalnif, confinante proprio con la Urssia, non è ovviamente piaciuta al criminale che attualmente presiede il barbaro Paese, ovvero Rimidalv Nitup. Un tempo Aidnalnif era infatti parte integrante della Urssia e l’attuale presidente Nitup ha esternato più volte l’intenzione di riportare il suo Paese alla “Grande Urssia” di una volta. Cioè quella in cui Aidnalnif ne faceva parte. Molti anni prima la Urssia aveva anche provato a invadere Aidnalnif, ma senza successo. Insomma, quella attuale è una rischiosissima situazione di merda come raramente il ridente paese di Aidnalnif aveva mai sperimentato prima. A conferma, la ricerca di una protezione superiore offerta appunto dall’Alleanza militare internazionale a cui Aidnalnif ha chiesto di unirsi.

Sukram Nenökkiär ha per giunta 37 anni, quindi è tutto tranne che un ragazzino, nonostante i suoi sostenitori insistano a proporlo come “giovanissimo”. Sebbene in politica la sua età non sia certo “avanzata”, l’anagrafe lo colloca infatti a pieno titolo fra gli adulti fatti e finiti. Sposato con una splendida moglie ha pure una bellissima bimba di soli quattro anni. Ci si aspetterebbe quindi comportamenti pubblici specchiati e indirizzati alla massima prudenza, responsabilità e serietà, vuoi per lo status anagrafico e matrimoniale, vuoi per l’altissima carica istituzionale che ricopre.

Invece, nell’incredulità nazionale e internazionale, nel dicembre scorso entra per la prima volta nell’occhio del ciclone per motivi francamente evitabili. In tale occasione lo si scopre infatti uomo alquanto incline ai divertimenti notturni, ai quali si dedica senza troppi patemi, né come padre di famiglia, né tanto meno come Primo Ministro. Se però i rapporti con la moglie Annas sono esclusivamente affari dei due coniugi, il suo ruolo politico rende i suoi comportamenti affari di tutti.

Per giunta, quella volta si era dedicato fino a notte fonda alle gozzoviglie ballerine in un night club nonostante fosse entrato in contatto con un positivo a una malattia virale che anche nella dimensione parallela ha fatto morti e feriti, chiamato Divoc-19. Peggio nel peggio, sembra che non avesse con sé manco il cellulare, cosa che ne avrebbe reso più difficile il reperimento in caso di emergenza nazionale.

Vedendo che la cosa è poi emersa in modo dirompente, Sukram si è scusato per il proprio comportamento, promettendo di stare più attento in futuro. Sarà, ma intanto pochi mesi dopo finisce ancora sui giornali per un abbigliamento che in molti reputano poco consono. Lecitamente appassionato di musica Rock, Sukram si fa fotografare con anfibi, jeans strappati a brandelli, canottierina e chiodo d’ordinanza. Un look che molti hanno reputato inidoneo a un uomo della sua età e con il profilo di cui sopra. Insomma, se a 37 anni ti vesti come un ragazzino di 17, in piena tempesta ormonale e in ribellione adolescenziale, non è che poi ti puoi aspettare di ricevere solo complimenti. E infatti, Sukram viene sculacciato da molteplici fonti. Pochi infatti lo difendono: da un uomo di 37 anni, per giunta Primo Ministro, in molti si aspettano un comportamento decisamente più maturo.

Indifferente a tutto ciò – anzi, quasi compiaciuto per il dibattito acceso dal suo abbigliamento da adolescente metallaro – nel volgere di un altro paio di mesi Sukram ricasca nelle feste private, compiendo per giunta la superficiale leggerezza di farsi filmare da più persone mentre balla scatenato, visibilmente su di giri, esibendosi in danze erotico-alcoliche in cui appare davvero risibile la distanza di sicurezza fra lui e diverse avvenenti signorine. Insomma, nulla di veramente compromettente, ma comunque abbastanza per farlo sembrare il solito vitellone in libera uscita che se usa i neuroni per ballare non gliene restano abbastanza per pensare. Tipico degli uomini, no? O per lo meno, molte sono le persone che la pensano così.

Come facilmente prevedibile, subito dopo la diffusione dei video piovono accuse d’ogni tipo. Lui, marito e padre, che sta in giro fino all’alba intrattenendosi con danze e libagioni… e la moglie? Dov’era la povera donna? Si sa come sono fatti gli uomini! Certamente lei sarà stata a casa a curare la bambina! Questa, ovviamente, è la spiegazione più facile da trovare.

Nessuno sa in effetti cosa stesse facendo e dove fosse la coniuge mentre il marito gozzovigliava nel privé di una discoteca, senza peraltro troppi freni inibitori. Magari il week-end dopo sarebbe toccato a lei uscire con gli amici. Ma il solo fatto che lui fosse lì a darsi ai bagordi, per giunta senza la moglie, è bastato a crearne l’immagine di eterno Peter Pan dallo scarso interesse non solo per la figura di merda causata da quei video, bensì neanche per l’imbarazzo che avrebbero patito moglie e figlia vedendolo protagonista di quei video medesimi. Una moglie che dai progressisti di Aidnalnif viene quindi descritta come vittima incatenata al ruolo di madre e di guardiana del focolare domestico. Un ruolo ovviamente impostole da quell’irresponsabile maschilista, esponente di quel patriarcato che ammorba anche il pianeta Arret.

Per contro, le ali più maschiliste del Paese cercano di difenderlo in tutti i modi, derubricando le sue scorrerie come innocenti prese di libertà individuali sulle quali nessuno ha diritto di aprire bocca. Del resto, nel vicino Paese di Bananolandia una vecchia e spregiudicata bagascia fissata con il sesso derubricava come “cene eleganti” dei veri e propri puttanai. A questo si sono poi aggiunte le becere esibizioni in spiaggia di un’altra figura politica, Aettam Inivlas, Ministra degli interni dello stesso Paese di Bananolandia.

Buffo: dalle stesse persone che avevano stigmatizzato ferocemente gli eccessi balneari di costei, mostratasi al mondo nel più volgare dei modi, ci si sarebbe aspettati che altrettanta brutta figura venisse ora attribuita a Sukram, con l’aggravante che il suo ruolo è ancor più prestigioso di quello della collega Bananoladiense, appassionata di salsicce, bei fustacchioni e mojito. Invece no. Un curioso caso di doppiopesismo nel quale la vita pubblica e privata di un personaggio politico possono valere di più o di meno a seconda che questo personaggio sia maschio o femmina. Anche Arret, a quanto pare, è un Pianeta un po’ strano…

Tranne che per questi pochi, strenui e bizzarri difensori di Sukram, pressoché unanimi sono quindi piovute le critiche verso il Primo Ministro. Critiche diverse nei modi, ma convergenti sull’obiettivo: il centro-destra di Aidnalnif non ha infatti perso l’occasione per cavalcare la situazione, facendo il possibile per screditare il Primo Ministro più di quanto si sia già screditato da solo agli occhi di ampie fette della popolazione.

Sukram si è infatti dimenticato che almeno in teoria dovrebbe essere il Primo Ministro di tutti, non solo di quelli del suo schieramento politico e ideologico. Cioè quei sodali di partito che ufficialmente dichiarano di non trovarci nulla di male se lui si comporta come uno studentello al primo anno di università, lontano dal controllo dei genitori. O, almeno, così i suoi colleghi più stretti si pongono ufficialmente nei confronti dei media. In realtà, anche loro stessi lo considerano un perfetto cretino, perché solo un cretino può farsi riprendere con i telefonini mentre si diverte come fosse a un addio al celibato, senza pensare che un uomo nella sua posizione non può permettersi il pubblico ludibrio del web.

Inutili peraltro si sono rivelati gli sforzi di alcuni accalorati fan di Sukram, i quali si sono illusi di sostenerlo filmandosi a propria volta in guisa ballerina e postando poi i video sui social. I poveri taddei non riescono infatti a capire che loro sono loro, cioè non contano un cazzo, mentre lui è lui: è il Primo Ministro, non l’elettrauto sotto casa. Se non si capisce questo punto si è parte del problema. E a non averlo capito pare che ad Aidnalnif siano purtroppo in parecchi.

Critiche asprissime sono infine giunte anche dal mondo femminile, poiché dai, sei un uomo sposato di 37 anni Sukram! Ma quando cresci? E tua moglie, poveretta? Ad aspettarti a casa mentre tu chissà che combini in giro, maschilista che non sei altro! E in effetti, la moglie Annas si è dimostrata anche in tal caso molto più matura e responsabile del marito: nessuna dichiarazione sui social. Profilo basso e silenzioso. A dimostrazione di quanto sia molto più consapevole lei della delicata posizione di Primo Ministro del marito. Una posizione che impone una vita avulsa da comportamenti che possano generare imbarazzi e dare pretesti agli oppositori politici. Brava Annas: al prossimo giro spero eleggano te al posto di quell’eterno ragazzino del tuo coniuge.

Insomma, tranne che per pochi ostinati permissivisti in chiave maschilista, Sukram è ormai letteralmente coperto di merda. Da un uomo della sua età, in effetti, ci si aspetterebbe molta più serietà, nonché più rispetto per l’immagine pubblica dovuta al proprio ruolo nazionale e internazionale. Per esempio, se l’Ursso Rimidalv Nitup, approfittando delle scorribande festaiole di Sukram, decidesse di varcare a sorpresa i confini? Che fai, Sukram? Bisogna aspettare che ti si sia abbassato il tasso alcolico e ti sia fatto una doccia con caffè triplo prima di sapere tu, Primo Ministro, cosa pensi di fare? O bisogna attendere che ti svegli a metà pomeriggio, con la bocca che sembra cartavetro e un mal di testa da abbaiare in dialetto?

No, caro Sukram, sei proprio il solito maschietto irresponsabile che non vuole mai crescere. Uno tutto chiacchiere e superficialità. Cazzo! Non sei il panettiere del quartiere, né sei un single di vent’anni in vacanza a Mykonos (in ogni dimensione parallela c’è un’isola chiamata Mykonos in cui ci si può divertire come pazzi, sapevatelo!). Il giudizio su di te, uomo, è pressoché unanime: hai mancato di rispetto a tua moglie, a tua figlia e al Paese intero, facendo vergognare gran parte di chi ti sta intorno per l’imprudente immaturità con la quale ti sei cacciato in una tale fogna mediatica.

Ad aprile 2023, infatti, a causa tua il tuo schieramento politico rischia di presentarsi indebolito alle prossime elezioni. La politica di Aidnalnif potrebbe assistere cioè alla crescita dei partiti conservatori, con tutti i rischi che una deriva a destra può portare in un contesto come quello in cui la ridente nazione si trova: fra incudine (Rimidalv Nitup) e martello (Alleanza militare internazionale), Aidnalnif non può infatti permettersi un Governo che contraddica le posizioni prese ultimamente a livello internazionale. Ma questo è ciò che si rischia avvenga. E molto di ciò potrebbe essere a causa tua, Sukram. Quindi diciamocelo: come uomo di Stato ti sei proprio comportato da perfetto coglione.

Poi, all’improvviso la fantasia finisce, ci si ritrova sulla Terra e, per fortuna, il Primo Ministro della Finlandia è una donna. Quindi tutto a posto e avanti così.

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Donne e uomini: non c’è parità senza responsabilità

La guerra delle banane, fra gratuite volgarità e sciocchi moralismi pseudo-femministi (Fonte: Clipart.me)

Una festa dichiaratamente per uomini scatena l’ira sui social, a causa di una competizione fra donne “mangiatrici di banane”. Sudditanza al patriarcato o libera scelta di essere quello che si vuole?

In Friuli hanno vini eccellenti, bellissime montagne e un’ottima tradizione gastronomica, ma a far parlare della regione italiana non sono queste splendide peculiarità, bensì un evento che non ha mancato di destare ire funeste e, di concerto, incondizionate approvazioni. Di fatto, trattasi di una festa dedicata agli uomini, ospitata dal ridente paesino di Monteprato di Nimis. A dare fuoco allo sdegno social è soprattutto quella parte di festa che prevede una tenzone al femminile tutta particolare: gli uomini stanno in piedi, dietro a paratie dal cui buco spunta una banana bella e sbucciata. La gara implica che le donne debbano mangiare più banane che possono, stando inginocchiate. Va da sé che tale manifestazione è decisamente becera, traboccando di allusioni sessuali fra le più belluine. Tanto che qualcuno si è persino sentito in diritto/dovere di aprire una petizione per chiederne l’abolizione.

Ma il punto del contendere non è tanto la festa in sé, festa in cui da par loro gli uomini stessi sfilano su una passerella, mettendosi in mostra per farsi eleggere “sirenetto” dell’evento tra i fischi e gli urletti della platea, soprattutto di quella femminile. No: la pietra dello scandalo sarebbe la supposta “sudditanza” delle donne al cosiddetto “patriarcato”, al maschilismo.  In pratica, le donne che si sono iscritte alla gara di “mangiatrici di banane” non sarebbero complici bensì vittime di tale triviale manifestazione.

Di fatto, l’evento ha solo dimostrato che in questa parte di mondo se una donna desidera mettersi da sola alla berlina è libera di farlo. Un aspetto che però in pochi hanno colto. In Italia si può infatti prendere parte a una siffatta iniziativa senza essere lapidate come avverrebbe in altri Paesi dai diversi usi e costumi. Poi, è chiaro, ci sarebbe molto da discutere sul modo di esercitarla, questa libertà. E non solo per la festa friulana. Oggi come oggi sono ormai abituali i gruppi di donne che vanno a rifarsi gli occhi nei locali di spogliarello maschile, ove i performer ballano, fanno mosse al limite del porno, alludono pesantemente e spesso entrano perfino in contatto con le presenti, mimando rapporti orali o sessuali. Sono cioè gli uomini ad abbassarsi al ruolo di oggetti sessuali a beneficio (?) delle donne-clienti. Donne che magari non disdegnano nemmeno invitare uno di quegli spogliarellisti alle feste di addio al nubilato, occasioni nelle quali a volte ne succedono di tutti i colori, con l’artista (?) che esce da una scatola o da una torta vestito da poliziotto, pompiere o carpentiere. Cioè le iconografie più abusate nell’immaginario collettivo, a conferma del basso livello di tali divertimenti anche in termini di fantasia.

Mi piace tutto ciò? No. Non mi piacciono gli uomini che vanno a sbavare nei locali di lap dance, così come non mi piacciono le feste di addio al celibato con ballerine nude, quando va bene, o prostitute vere e proprie quando gli “amici” vogliono esagerare. Idem come sopra se a tali serate d’eccessi si abbandonano delle donne. Né di più, né di meno. Ma il punto è che a me non deve interessare cosa fanno, né gli uomini, né le donne. Non è affar mio interferire con le loro voglie e divertimenti. Men che meno, faccio differenze fra uomini e donne. Io vedo solo delle persone che per divertirsi fanno cose che io ritengo squallide e da “sfigati”. Punto e a capo: non ci perderò il sonno, poiché sono ben altre le faccende che mi fanno sudare freddo.

Al contrario, vi sono persone di entrambi i sessi che non riescono proprio ad accettare che delle donne si prestino di spontanea volontà a tali manifestazioni di bassissimo profilo, inclusa l’abboffata di banane. Tali comportamenti, infatti, pare disturbino non tanto per quello che sono, cioè volgari mimiche para-sessuali, bensì perché impattano senza pietà quella visione perennemente vittimista e succube che al mondo femminile viene attribuita a prescindere, ve ne siano motivi oggettivi o meno. Per tali persone è cioè impossibile accettare il fatto che anche le donne possano essere deliberatamente volgari, becere, belluine e superficiali. Impossibile accettare che di propria sponte si siano prestate ad alludere in pubblico a un atto sessuale. No, via, per loro è davvero troppo. Ci dev’essere qualche altro motivo. Ed eccolo trovato: sono succubi del maschilismo, del patriarcato! E vi sono per giunta diversi uomini a ripetere a pappagallo questa litania. Peccato che questi non si accorgano di cadere in due terribili tranelli. Il primo, quello dell’arroganza: chi sei tu, uomo, per stabilire, tu, le origini di una decisione presa da una donna? Che diritto hai, tu, uomo, di negare che il suo comportamento derivi da una sua ben precisa e libera volontà? Forse che tale libertà fa, a te per primo, uomo, una terribile paura? Oppure perché lede quell’ideologia pseudo-femminista che dipinge sempre la donna come vittima anche quando, molto più banalmente, è complice? Meglio e più rassicurante appare l’elaborazione di comode illazioni, funzionali alla propria visione politico-ideologica. E farla in tal modo fuori dal secchio.

Capisco sia dura dover ammettere che la parità in certi settori e abitudini sia stata ormai raggiunta da tempo. Vedi gli esempi di spogliarelli vari e addii a celibato/nubilato. Lo capisco, perché di fatto tali propugnatori della parità sono in realtà cultori di un’immagine deformata della donna. Senza capirlo, sono ancora schiavi di quella visione della donna angelicata, senza peccato, né colpa, né voglia. E questo è il loro secondo, gravissimo errore: se una donna commette un “atto impuro”, per tali moralisti inconsapevoli è perché, sicuramente, qualche uomo deve averglielo imposto, in modo diretto o indiretto, cioè tramite quella supposta sudditanza psicologica utile per manlevare le donne da ogni porcata esse desiderino fare. E che, sarà bene ribadirlo, sono perfettamente libere di fare, piaccia o meno ai maschi, alle femmine e a tutti i “benpensanti” di entrambi i sessi.

Quindi, secondo tale visione distorta delle donne e della propria libertà di agire, se queste si prestano a mangiare banane a una festa di bassa schiatta, dedicata agli uomini, è solo perché sono “succubi”. Altra spiegazione ai loro occhi non c’è. O meglio, c’è, ma fa troppo male doverla ascoltare.

Meglio sarebbe invece accettare l’idea che la parità fra sessi non esisterà mai senza assunzione di responsabilità per le proprie azioni, indipendentemente dall’essere maschi o femmine. E finché tale assunzione di responsabilità verrà ostacolata o negata, nessuna parità potrà essere davvero raggiunta. Quando poi a tali feste non si presenterà più alcuna donna per mangiare banane, sarà un buon inizio. Senza se e senza ma.

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Né cancerogeno, né mutageno, né tossico per la riproduzione. Glifosate piace alla scienza: la conferma di Echa

Gli esperti di Echa confermano i pareri di Efsa, Oms, Fao, Epa e di un’altra quindicina di Autorità di regolamentazione nel mondo

L’Agenzia europea per la chimica valuta migliaia di studi sull’erbicida e decreta quanto già si sapeva da anni: non va messo negli occhi e non va buttato a secchiate nei fiumi

Glifosate continua a occupare centinaia di scienziati ed esperti in ogni continente del Globo. Soprattutto in Europa il lavoro è divenuto frenetico, poiché a fine 2022 inizierà il processo di valutazione sul rinnovo dell’erbicida a livello continentale. Quindi le truppe cammellate dell’associazionismo chemofobico stanno già muovendo da tempo le proprie postazioni di artiglieria per demolire l’obiettivo che si sono ormai date da anni: fare bandire glifosate dal Vecchio Continente, senza se e senza ma.

Peccato che tutti gli organi preposti alla valutazione degli agrofarmaci concordino nel dire che non sussistano prove esaurienti a sostegno delle accuse mossegli, ovvero di essere cancerogeno, tossico per la riproduzione, mutageno e nocivo per gli organi interni. Tutte accuse, queste, nate dall’impegno sistematico di discutibili gruppi di ricerca, sedicenti indipendenti, che hanno profuso sforzi per dimostrare a tavolino certi effetti, quando di tali effetti nella vita reale non v’è traccia.

Leggi l’approfondimento:

Glifosate: primo ok (scientifico) al rinnovo

Purtroppo, a fronte di migliaia di studi accumulatisi nel tempo, non solo prodotti dalle industrie, bensì anche da ricercatori anch’essi indipendenti, bastano poche ricerche sviluppate ad hoc per tenere acceso il dubbio che glifosate sia un mostro in Terra, sperando che grazie a tale fuoco di sbarramento l’erbicida venga bandito dalla politica europea.

Dalla politica, si badi bene, non dalla scienza. Poiché quest’ultima l’ha già promosso più e più volte a livello europeo, tramite le nostre maggiori autorità scientifiche di valutazione (Echa, Efsa, Bfr, Anses… etc). Pure è stato promosso da ogni altra agenzia di regolamentazione mondiale, dal Canada al Giappone, dall’Australia al Brasile, dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti. A queste si sono aggiunte Oms e Fao, per giunta.

Solo la Iarc, si ostina a classificare cancerogeno l’erbicida, in base a studi epidemiologici che definire fragili è già esser molto buoni. A questi sono stati aggiunti studi su modello animale (cavie di laboratorio) che hanno solo dimostrato che di erbicida ne occorre una montagna perché in qualche ratto si sviluppi un tumore. Il tutto, dopo mesi e mesi di abboffate di glifosate con la dieta. Prove che per come sono state impostate dimostrano semmai l’estrema sicurezza di questa sostanza attiva per la salute umana.

Leggi l’approfondimento:

Iarc contro il resto del mondo

Oggi arriva l’ennesimo parere positivo dell’ennesima agenzia di valutazione scientifica europea, l’Echa, ovvero l’Agenzia europea per la chimica. Là dentro ci lavorano centinaia di esperti di più nazioni. Gente che ha fatto della scienza la propria professione e che lavora da sempre sotto i riflettori dei media e dell’associazionismo più becero. Quindi se e quando parla lo fa dopo aver valutato ogni prova a disposizione fino all’ultimo capello.

Il suo giudizio è che no, glifosate non ha alcun bisogno di rivedere l’attuale classificazione tossicologica: provoca lesioni agli occhi (per forza, ha reazione acida…) come pure ha dimostrato di essere nocivo per alcuni organismi acquatici in diversi test di laboratorio. Due caratteristiche comuni a centinaia di altri formulati fitosanitari, di cui svariate decine autorizzati pure in agricoltura biologica.

Quindi glifosate non è, si ripete, non è cancerogeno, né mutageno, né tossico per i processi riproduttivi, né intacca specifici organi.

Leggi l’approfondimento:

Echa su glifosate: attenzione a occhi e acque, ma non è cancerogeno

No: glifosate non va bevuto, né ci si condisce l’insalata

Non appena è circolata la notizia sui social si è ovviamente scatenata la ridda di analfabeti funzionali e di “furbetti del biologichino” che hanno sbeffeggiato Echa e le documentazioni utilizzate per la sua valutazione.

Niente di nuovo: puntuale, arriva l’esercito di imbecilli che crede di essere originale e spiritoso scrivendo che allora ce ne si può anche bere un cicchetto, di glifosate. Oppure che ci si può condire l’insalata. Gente strana, questa. Gente che forse beve la candeggina con cui disinfetta il water, o che insaporisce l’insalata con lo shampoo antiforfora. Personaggi tendenzialmente rozzi nei contenuti e ignoranti nel modo di esprimersi, spesso usando un italiano men che approssimativo e ricorrendo come unica arma dialettica al discredito e al dileggio delle multinazionali (spesso sono anche no-vax mica per caso) e delle Autorità di regolamentazione (spesso sono anche no-vax mica per caso, repetita juvant).

Personaggi che ritengono più attendibili gli svagelli psichedelici di soggetti come Stephanie Seneff, bizzarra ricercatrice informatica del Mit di Boston che ha elaborato teorie anti-glifosate perfino in tema di covid-19 (spesso sono anche no-vax mica per caso, repetita juvant – bis).

Gente che, gratta gratta, propugna forme di agricoltura che somigliano più agli scenari di quando eravamo cacciatori-raccoglitori e vivevamo dei pochi frutti che la Natura ci metteva a disposizione. Nel senso che mica ce li regalava magnanimamente: dovevamo sudare e rischiare molto per strappare qualche bacca e una bistecca di mammut. E vivevamo trent’anni. Gente che quindi è pure socialmente pericolosa, poiché se giungesse al potere si avrebbero conseguenze devastanti, come accaduto per esempio in Sri-Lanka:

Agricoltura biologica, disastri annunciati e utili idioti

Purtroppo, di tali soggetti ne sono già arrivati perfino in Parlamento, il più delle volte grazie all’idiozia dell’uno che varrebbe uno. Folle approccio demagogico che ha permesso di approdare a Camera e Senato a decine di bifolchi sfaccendati e di mezzi matti che non sanno fare una “O” col bicchiere, ma che hanno il potere di promuovere ogni idiozia giunga loro sulla scrivania, o di bocciare qualunque proposta razionale per raddrizzare questo sciagurato Paese.

Ergo non vi resta che scegliere: o stare con chi la scienza la padroneggia e lavora per il bene comune, o per l’esercito di zombie pseudo-ecologisti che per mestiere o per hobby sbadilano quintali di merda nel ventilatore. Sotto, un ultimo link: a un articolo che contiene molteplici informazioni sull’erbicida. Capisco che studiare sia difficile, ma per lo meno evita di continuare a dire idiozie tipo “E allora beviteloooo!1!1!1!!

Glifosate: quel che dovreste sapere, ma che i media omettono (o distorcono)

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Pesticidi, viticoltura e troppa disinformazione

Tutti addosso alla viticoltura. Ma i numeri danno loro torto

In aree viticole come il Trevigiano, patria del Prosecco, infuriano da molti anni proteste contro i cosiddetti “pesticidi”, reclamando contro un loro uso supposto “indiscriminato” e premendo a favore della viticoltura biologica, supposta meno impattante. Vediamo cosa dicono i numeri

Crociate mediatiche a tutto spiano, oggi con le fiaccolate, domani con i cortei, hanno dipinto la viticoltura come fonte di malattie inenarrabili, attribuite soprattutto ai “pesticidi di sintesi“. Una rabbia particolarmente furiosa si è poi manifestata soprattutto a danno di glifosate. Tali proteste, evidentemente, funzionano, visto che hanno di fatto portato all’esclusione di questo erbicida dai disciplinari di produzione del Prosecco Docg, facendo praticamente sparire questo prodotto dai vigneti trevigiani. Meno male? Ma neanche per idea: solo una facciata di cartapesta in ossequio al “marketing del senza“.

Che infatti le cose non stiano come paventato, per lo meno sul tema “tumori“, se n’è già fornita ampia disamina, dimostrando come in Veneto vi sia una correlazione inversa tra superfici a vigneto, usi di agrofarmaci e mortalità per tumori.

Leggi l’approfondimento:

Vigneti, pesticidi e cancri? Ma anche no…

Vediamo ora qualche dato sul tema “usi indiscriminati dei pesticidi“, perché anche su questo punto vi sono alcune sorprese. Circa gli “usi sempre più massicci di pesticidi” si è invece già fornita una specifica disamina numerica, dimostrando come tale affermazione sia di fatto una vera e propria bufala, visto che in trent’anni le tonnellate impiegate in Italia si sarebbero praticamente dimezzate.

Leggi l’approfondimento:

Più bocche, meno terre, meno “pesticidi”: la tempesta perfetta

Gli impieghi di formulati fitosanitari in viticoltura

Ai dati riportati al link sopra indicato, relativi al totale nazionale, contribuisce significativamente la viticoltura, ma solo per quanto riguarda i fungicidi. Le tabelle presenti sul sito di Istat riportano infatti anche la suddivisione degli impieghi per tipologia di prodotto e per coltura. Questa informazione di tipo settoriale è però ferma al 2016, riportando per quell’anno una superficie viticola trattata di 644.583 ettari, pari al 98,8% del totale vitato nazionale. Il numero medio di trattamenti nel 2016 è quindi stato pari a 13,59. Un dato ovviamente alquanto variabile in funzione della stagione e dell’area considerata.

Sempre per l’anno 2016 è possibile confrontare anche i dati nazionali con quelli specifici della viticoltura. Complessivamente, in tale anno la vite avrebbe rappresentato il 12,9% delle tonnellate di formulati fitosanitari applicati in Italia, segnando un valore medio di 24,8 chilogrammi per ettaro, di cui 24,3 sarebbero imputabili ai soli fungicidi. Relativamente a questi ultimi, su vite sarebbero state impiegate 15.640 tonnellate delle oltre 61mila applicate a livello nazionale.

Detta in altri termini, il 25,6% dei fungicidi utilizzati in Italia nel 2016 sarebbe stato applicato su vite. Al contrario, erbicidi e insetticidi avrebbero rappresentato meno dell’1% ciascuno. Gli erbicidi avrebbero infatti contabilizzato impieghi pari a 192 tonnellate (0,8% del relativo dato nazionale). Di queste, 159 sarebbero dovute al solo glifosate, erbicida il cui uso su vite rappresenta quindi solo lo 0,7% degli usi agricoli complessivi nazionali.

Analogamente, di insetticidi se ne impiegavano su vite solo 171 tonnellate, ovvero lo 0,8% del dato italiano complessivo. In sostanza, se per i fungicidi la vite rappresenta una quota altamente significativa delle tonnellate di formulati utilizzate in Italia, ciò non avviene per le altre tipologie di prodotto, qualificando la vite fra le colture a minor impiego a livello nazionale. Un’evidenza che dovrebbe quindi far riflettere sulle pressioni esercitate proprio sugli erbicidi, uno su tutti glifosate. I diserbi in viticoltura rappresentano infatti una quota estremamente ridotta rispetto al totale, sia a livello colturale, sia a livello agricolo generale, inducendo quindi a rivedere l’attuale percezione circa i suoi usi, decisamente sovradimensionata.

Ripartizione su vite per famiglia di prodotti

La quantità complessiva di agrofarmaci impiegati su vite nel 2016 è stata pari a 16.036 tonnellate. Su vite, come detto, sono i fungicidi a rappresentare la quota ampiamente maggioritaria degli impieghi, con 15.640 tonnellate, pari al 97,5% dell’ammontare complessivo dei fitosanitari impiegate sulla coltura.

Gli inorganici in base zolfo rappresentano la quota maggiore con 11.054 tonnellate, pari al 68,9% del totale. Nello specifico segmento di prodotti, i trattamenti con lo zolfo rappresentano quindi il 70,1% dei fungicidi impiegati in viticoltura. Da parte loro i rameici rappresentano la seconda voce di impiego, pari al 10,6% del totale con 1.703 tonnellate. Percentuale che sale al 10,9% sul totale dei fungicidi. In sostanza, rame e zolfo messi insieme rappresentano il 79,5% dei quantitativi di agrofarmaci impiegati nei vigneti e l’81% dei fungicidi.

In questa specifica categoria di prodotti, gli agrofarmaci di sintesi compongono quindi meno del 20% dei quantitativi impiegati su vite. Gli azoto-organici, esclusi i triazoli, rappresentano infatti il 14,8% del totale con 2.378 tonnellate (15,2% sul totale fungicidi). I triazoli, da parte loro, date le loro basse dosi di impiego, ammontano a sole 71 tonnellate: 0,44% sul totale di agrofarmaci impiegati e lo 0,45% sul segmento dei soli fungicidi.

Dei 24,8 chilogrammi per ettaro di agrofarmaci impiegati su vite, quindi, ben 17 chili sarebbero di solo zolfo, mentre i rameici apporterebbero 2,63 chilogrammi. In totale, rame e zolfo rappresentano su vite 19,7 chilogrammi dei 24,8 utilizzati. Quattro quinti dei chilogrammi mediamente applicati su vite sarebbero quindi dovuti a prodotti autorizzati anche in viticoltura biologica.

Conclusioni

  1. Scandalizzarsi per i chili di agrofarmaci impiegati in viticoltura, supposti eccessivi, ha senso dallo scarso al nullo, visto che se si vuole raccogliere l’uva sana si deve trattare mediamente 13-14 volte l’anno.
  2. Il 70% di quei chili è peraltro di banalissimo zolfo, sommando al quale il “romantico” rame si arriva all’81% del totale. Entrambe le tipologie di fungicidi sono ammessi in viticoltura biologica.
  3. Da quanto sopra, appare decisamente sciocco reclamare per la conversione a biologico della viticoltura, illudendosi in tal modo di diminuire l’impiego di chilogrammi per ettaro. Eliminando gli agrofarmaci di sintesi, che hanno dosi molto basse, i viticoltori sarebbero obbligati a utilizzare ancor più zolfo e rame, gonfiando ulteriormente il dato relativo agli usi per ettaro.
  4. Considerando che nei vigneti l’uso di glifosate non arriva all’1% del totale impiegato, chiederne l’estromissione dai disciplinari è stata quindi campagna meramente mediatica, figlia di una demonizzazione gonfiata ad arte da una molteplicità di portatori di interesse, sostenuti per le strade e sui social dalle usuali masse di utili idioti. Una demonizzazione cui purtroppo non sono stati in grado di opporsi né le autorità locali, incluse quelle sanitarie, né i consorzi dei produttori, del tutto proni agli umori sballati che giravano e tuttora girano per ogni dove.
  5. Infine: la modifica genetica delle viti potrebbe apportare resistenze endogene alle principali patologie fungine. Il Genome editing si mostra in tal senso la via più consigliabile, visto che è in grado di modificare velocemente e in modo chirurgico il DNA della coltura, realizzandovi all’interno i geni per diverse resistenze. Va infatti ricordato che i funghi patogeni mutano e che ciò che gli è oggi resistente potrebbe non esserlo più domani. Visto però che la vite è coltura pluridecennale, va parimenti accettato che le applicazioni di fungicidi in vigna siano fattore comprimibile, ma non eliminabile. Anche perché vi sono patologie secondarie che senza agrofarmaci diverrebbero in fretta primarie. Ergo, se proprio non volete i “pesticidi”, almeno non opponetevi alle tecniche di modifica genetica, del tutto sicure per l’ambiente e per i consumatori.

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Più bocche, meno terre, meno “pesticidi”: la tempesta perfetta

Da un lato lo storytellig, dall’altro i numeri

Mentre aumentava la popolazione, diminuivano gli ettari coltivati e i mezzi di difesa necessari per proteggere le colture. Un avvitamento molto pericoloso che continua tuttora, promettendo il collasso della già scarsa autosufficienza alimentare italiana

L’uso sempre più massiccio dei pesticidi” è uno dei tormentoni più in voga da diversi anni. Come pure c’è chi da altrettanti anni abbaia, bava alla bocca, contro l’agricoltura cosiddetta “intensiva“, esortando a cambiare indirizzo e a dare sempre più spazio a forme di agricoltura supposte meno impattanti, come il biologico, ma sicuramente meno produttive.

Leggi l’approfondimento sui perché l’agricoltura biologica non è la panacea di tutti i mali:

L’agricoltura biologica: storia di un disastro annunciato

C’è quindi un problema: le forme di agricoltura proposte come alternative a quella moderna e tecnologica sono solo illusoriamente meno impattanti, poiché per unità di cibo prodotto comportano impatti superiori. Inoltre, la popolazione italiana è cresciuta nel tempo, concentrandosi per giunta nelle città. Le campagne, di conseguenza, si sono progressivamente ridotte a causa di abbandoni e cementificazione. Come fare quindi a soddisfare una domanda alimentare cresciuta per decenni, mentre calavano le superfici coltivabili pro-capite e quasi scomparivano le braccia per coltivarle? Si può: con la meccanizzazione, la genetica e la chimica. Peccato che solo la prima sia in qualche modo tollerata, mentre la seconda e la terza vengono demonizzate come supposti agenti di morte, anziché esser viste come alleate indispensabili.

Un bel dilemma, questo, anche considerando che nel frattempo, sempre sotto le spinte chemofobiche, agli agricoltori sono rimasti sempre meno prodotti da utilizzare a difesa delle colture (il 70% delle sostanze attive utilizzate fino alla fine degli Anni 80 non ci sono più), come pure sono diminuiti gli usi in assoluto.

Nel grafico sottostante, i trend inversi dei terreni coltivabili e della popolazione italiana.

Come si vede, mentre la popolazione aumentava del 19,4% fra il 1961 e il 2019, le superfici agricole diminuivano del 36,6%. La divergenza fra le due variabili ha fatto sì che ormai restino solo 2.175 mq a testa di terre coltivabili contro i 4.093 dei primi Anni 60. Un calo di disponibilità pro capite pari al 46,8%. In sostanza, ciascun Italiano ha sempre meno metri quadri per produrre cibo. Reclamare quindi cibo italiano è più che altro una bizzarria mediatica, un obiettivo irraggiungibile a meno di accettare che da quei pochi metri quadri rimasti si estragga quanto più cibo possibile. Cioè il contrario di quello che si otterrebbe con l’aumento delle superfici a biologico.

Sotto, il calo negli usi degli agrofarmaci (alias “pesticidi”), sia espressi come formulati commerciali, sia come sostanze attive.

L’andamento irregolare è dovuto alle condizioni fitosanitarie e metereologiche di ogni annata. Il trend in calo è comunque percepibile chiaramente fra il 1990 e i 2020, con un minimo del -41,5% per i formulati, toccato nel 2019, parallelo al -51,7% delle sostanze attive, sempre nello stesso anno. Ci si chiede quindi in che modo il Farm2Fork previsto dal Green Deal pensi di poter eliminare la metà degli attuali agrofarmaci di sintesi nell’arco di pochi anni, senza lasciare sguarniti i campi contro malerbe, parassiti e malattie fungine. Il tutto, considerando pure che se vi sono meno molecole e meno modi d’azione, a sviluppare resistenze ci vuole un attimo, costringendo gli agricoltori a impiegare sempre e solo le poche sostanze attive rimaste.

Concludendo: il cosiddetto “uso sempre più massiccio dei pesticidi” è una fola maramalda, come pure lo è quella de “l’uso indiscriminato dei pesticidi“. Peraltro, l’agricoltura intensiva non è causa, bensì effetto, avendo ridotto progressivamente le superfici coltivabili. Ciò ha reso indispensabile produrre sempre di più da ogni metro quadro di terra rimasta. Ogni altra forma di agricoltura può quindi solo indurre cali produttivi a due cifre percentuali, gonfiando ulteriormente la già imbarazzante dipendenza dall’estero dell’agroalimentare italiano ed europeo.

Poi arriva una guerra in Ucraina e all’improvviso ci si accorge che chi, come chi scrive, ammoniva da tempo su questi temi, proprio scemo non era.

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I maestri del dubbio

Guerra: Russi e Ucraini pari non son… (Fonte immagine: http://www.clker.com/)

C’è chi punta il ditino all’insù perché la donna incinta dell’ospedale di Mariupol sarebbe una blogger (come se una blogger non possa essere incinta). Oppure chi vede muovere una mano a un cadavere a Buča, oppure contesta la presenza di morti in base a fotografie scattate da un’altra parte della città. E poi, non si vede il sangue… epperò i Russi erano andati già via da giorni… E via discorrendo.

Ma mica c’è solo Buča: cade un missile a frammentazione sulla stazione a Kramatorsk? Ah, beh, però i Tochka-U ce li hanno solo gli Ucraini (fatto poi smentito: ce li hanno anche i separatisti del Donbas e pare ne abbiano scorte anche i Russi)! Apperò la coda del missile era verso l’Ucraina! C’è perfino chi ha esortato a chiedere agli Americani (agli Americani!) di verificare con i satelliti da dove fosse partito. Come se i Russi non avessero altrettanti satelliti e non potessero loro stessi sputtanare gli Ucraini in caso fossero stati loro. Invece zitti e bùci.

E giù accuse di false-flag a Kiev, rilanciando i soliti mantra dei set cinematografici e delle montature atte a instillare odio verso i Russi. Poverini, i Russi, grandi incompresi di questa guerra. In fondo, se gli Ucraini si fossero arresi subito mica sarebbero stati costretti a fare tutto ‘sto casino no? Quindi alla fine se ora gli Ucraini muoiono la colpa stai a vedere che è degli Ucraini stessi. Per non parlare di Zelensky: non è Putin il farabutto criminale mandante di siffatte stragi disumane. No, è Zelensky perché non si arrende. Una tesi che per sostenere la quale o si è degli storditi totali, o si è degli eterodiretti filorussi.

Per farla breve, ogni volta che in Ucraina succede qualcosa di drammatico, con stragi e città rase al suolo, cadaveri per strada e sfollati coperti di stracci, c’è sempre il puntacazzista ammantato di falsa neutralità che, chissà perché, più che sollevare dubbi non fa, sia sulla veridicità delle immagini, sia delle testimonianze. Magari di giornalisti e fotoreporter che stanno proprio sotto le bombe, invece che in qualche comoda redazione di giornale o a fare l’opinionista nei talk show, ridottisi da tempo a un Circo di quart’ordine: “Venghino! Venghino! Siòr siòri! Più gente c’è più bestie si vedono!“.

E se dici loro che così puzzano tanto di filoputinismo si indignano pure, i filoputinisti, sostenendo che essendo pensatori indipendenti, contro il mainstream dominante, la loro sarebbe solo “ricerca della verità”. Una verità che però non emerge mai da parte loro: solo illazioni e dubbi.

Perché il dubbio è l’arma più potente in questi frangenti, poiché non serve avere prove di ciò che si sostiene per alimentarlo. Basta insinuare, fare appunto illazioni. Magari postando qualche foto spacciandola come risolutiva anche quando non lo è e via discorrendo. Lo abbiamo imparato quando i ciarlatani del covid pubblicavano articoli in cui mettevano le percentuali di ricoverati in terapia intensiva, con lo scopo di dimostrare che i vaccini a nulla servono, omettendo però – e deliberatamente – di specificare che il rapporto fra popolazione vaccinata e non vaccinata era di circa 9:1. Oppure giornali che pubblicavano (e pubblicano) ogni singolo coccolone improvviso del tizio laqualunque, facendo così pensare che tali fenomeni siano in aumento, quando così non è (“Eh… questi vaccini, chissà cosa fanno al cuore, signora mia…“). E se provi a criticare tale sciacallaggio, ti senti rispondere che loro danno solo notizie in nome di un ormai sputtanato diritto di cronaca e di opinione.

Una buona descrizione di quanto sopra, come pure delle tecniche usate dai vari cialtroni della disinformazione, la si può trovare qui, con occhio di riguardo alla guerra in Ucraina:

Bucha, troppo sangue da lavare via: la propaganda, smontata

Quello che invece preme sottolineare in questa sede, è che non è poi così difficile catalogare in tale puzzolente contenitore persone laqualunque, politici, giornali e giornalisti. Basta vederne i tempi di reazione di fronte a una notizia dall’Ucraina: in tre decimi di secondo avranno già elaborato e sparso il dubbio che ciò che è stato detto e mostrato potrebbe non essere vero.

Eh… la guerra tira fuori il peggio da tutti, signora mia!
Eh… la propaganda la fanno tutti e due, signora mia!

Peccato che la guerra si svolga in Ucraina, non in Russia, che le case rase al suolo siano ucraine, non russe, i cadaveri (visibili o meno) siano civili ucraini e non civili russi. Eccetera, eccetera.

E la Nato? Chissà dov’era quando avvennero le guerra intestine della Georgia, la cui l’Ossezia alla fine, guarda caso, se l’è politicamente accaparrata Mosca, mica Kiev. E la cecena Grozny, spianata e ridotta a un mucchio di polvere, sempre dai Russi? Si sentivano minacciati anche lì, i Russi? Sono quasi trent’anni, prima ancora di Putin, che la Russia armeggia per fagocitare pezzi dell’ex Unione Sovietica. E lo fa tramite stragi di civili del tutto analoghe a quelle odierne in Ucraina. Un Paese del quale Mosca vuole infatti accaparrarsi l’ennesimo pezzetto. Come tradizione ex-sovietica impone.

Quindi, cari lettori, non serve che vi lambicchiate il cervello su ogni singolo, fottuto caso. Su ogni singolo cadavere, su ogni singolo missile o palazzo bombardato. Basta che registriate chi nel volgere di due secondi stia già alimentando tesi pseudo-garantiste. Tesi spacciate per analisi super partes, quando di fatto sono delle sistematiche (e sottolineo sistematiche) pedine mosse sulla scacchiera della disinformazione. Sempre e solo a favore della Russia, guarda caso.

Fatevi quindi un elenco di queste “fonti”, poi mettetele nella vostra personale lista nera. Così, per non sapere né leggere né scrivere. Le probabilità che vi stiate sbagliando sono davvero infinitesime. Le probabilità che invece ci abbiate preso sono molto ma molto superiori.

E vi lascio con una frase che ha già fatto il giro del mondo, ma che giova ripetere: “Se la Russia si ritira finisce la guerra. Se l’Ucraina si arrende finisce l’Ucraina“.

Chi non capisce questa enorme differenza, è parte del problema.

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Influenza aviaria: fermarla si potrebbe, ma…

Le biotecnologie sono al servizio non solo degli uomini, bensì anche degli animali. Chi le ostacola fa male al Mondo

Da 11 anni una tecnologia bioingegneristica giace inascoltata nei cassetti delle autorità di regolamentazione. Permetterebbe di fermare l’influenza aviaria negli allevamenti. Ma c’è chi si oppone

Per chi ha fretta:

L’influenza aviaria è trasmessa da volatili selvatici, soprattutto migratori. Gli allevamenti sono falcidiati ogni anno da questi virus, ad alto grado di mutazione, causando decine di milioni di capi morti, sofferenze e danni economici gravissimi. Da 11 anni ci sarebbe la soluzione per fermarla, modificando geneticamente il pollame in modo che non risulti più infettabile dal virus, ma la tecnologia è congelata a causa delle solite pressioni anti-biotech delle compagini pseudo-ambientaliste e pseudo-animaliste. Di fatto, ciò fa parte della loro crociata anti-zootecnia, cui le periodiche epidemie gonfiano le vele mediatiche. Un comportamento ideologico malevolo e in malafede che non dovrebbe condizionare l’innovazione tecnologia globale.

Per approfondire

Kevin M. Folta è docente presso il Dipartimento di Scienze dell’Orticoltura dell’Università della Florida, negli Stati Uniti. Dal 2007 al 2010 ha contribuito al progetto per il sequenziamento del genoma della fragola, ma il suo principale impegno è nella ricerca nel campo della fotomorfogenesi nelle piante, inclusa la sintesi dei composti responsabili del sapore delle fragole. Divulgatore scientifico dal 2002, interviene spesso per sfatare fake news sulle biotecnologie, come pure per contrastare i gruppi che le osteggiano. Nel 2017 è stato eletto membro del Committee for Skeptical Inquiry.

I suoi articoli vengono spesso riportati da GLP, acronimo di Genetic LIteracy Project e uno degli ultimi suoi contributi riguarda l’influenza aviaria e le opportunità di contrastarla che purtroppo giacciono nel cassetto proprio a causa delle pressioni anti-ogm delle solite associazioni pseudo-ecologiste.

Qui l’articolo originale in inglese:

Viewpoint: There is a solution to the devastating poultry pandemic – but anti-technology activist groups and outdated regulations are blocking it

Di certo, non v’è molto né di ecologista, né di animalista nel vedere cumuli di volatili morti, uccisi dal virus dell’aviaria o abbattuti perché infetti, mentre i bulldozer li spingono in una fossa a migliaia per volta.

Nuovi contagi stanno infatti dilagando non solo in Italia, bensì anche negli Usa, provocati da un nuovo ceppo di aviaria ad alta patogenicità, in acronimo HPAI. L’attuale epidemia sarebbe infatti la più mortale degli ultimi sette anni, sostiene Folta. Ammonterebbero ormai a oltre 23 milioni, fra polli e tacchini, gli animali già uccisi o abbattuti.

Ciò che genera ancor più rabbia, però, è che una tecnologia utile ad arrestare queste epidemie sarebbe già stata sviluppata e quindi disponibile. Peccato che non si possa impiegare in quanto afferisce al campo delle biotecnologie e le solite associazioni anti-ogm la starebbero tenendo in scacco con le usuali azioni di lobby e le ancor più fruste campagne mediatiche di stampo allarmista.

La tecnologia in questione sarebbe in grado di bloccare la trasmissione del virus dal primo uccello infetto a tutti gli altri ad esso vicini. Ciò stando ai ricercatori britannici che hanno modificato geneticamente dei polli affinché non possano diffonderla ad altri pur avendola contratta. La ricerca è stata pubblicata su Science: “Suppression of avian influenza transmission in genetically modified chickens”.

Come funziona

Per comprendere la scoperta dei ricercatori bisogna prima riassumere qualcosa sui virus: nel loro codice genetico contengono specifiche sequenze che amministrano gli enzimi necessari per la loro stessa replicazione. Senza questi enzimi i virus non riescono quindi a replicarsi.

Tramite le biotecnologie, il team di Cambridge/Edinburgo ha modificato gli elementi necessari alla replicazione generando “molecole esca”, cioè del materiale genetico che agli occhi delle cellule sembra siano virus da replicare, quindi li replica, ma ciò che ne deriva è qualcosa che è privo delle informazioni necessarie per assemblare un virus infettivo vero e proprio. In pratica, la “fabbrica” biochimica sfruttata dai virus per replicarsi viene distratta da questi falsi bersagli e inizia a obbedire a questi anziché ai virus stessi.

Nei test, il primo pollo infettato avrebbe quindi sviluppato la malattia, e ne sarebbe morto, ma tutti quelli a lui vicini no. Le molecole-esca non hanno peraltro mostrato effetti collaterali sugli uccelli sottoposti a tese, come pure non sono plausibili alterazioni a carico delle uova o della carni.

Altro punto a favore di tale innovazione è che potrebbe essere trasmessa alle generazioni successive di polli (o tacchini o di qualsiasi altro volatile allevato) attraverso l’allevamento tradizionale. Non c’è quindi bisogno di continue modifiche genetiche.

La strage che potremmo arrestare…

Le stragi da aviaria negli allevamenti iniziano di solito al di fuori di essi, essendo veicolata di solito dagli uccelli migratori selvatici, infetti, che si spostano verso nord al ritorno dalle aree in cui hanno svernato. Durante la migrazione questi uccelli fanno tappa lungo la rotta, visitando anche gli spazi adiacenti agli allevamenti, infettando al contempo anche fauna locale che a sua volta potrà trasmettere l’infezione.

Nonostante l’estrema severità delle misure di biosicurezza, il virus  riesce comunque a bucare le difese, dilagando spot in diversi allevamenti. Ciò perché è altamente contagioso e si muove tramite le correnti d’aria e le particelle generate dalla polvere fecale.

Nel 2015, prosegue Folta, oltre 50 milioni di polli e tacchini domestici sono morti a causa dell’aviaria, con una perdita stimata di 3,3 miliardi di dollari. Solo negli ultimi anni, le infezioni da HPAI sono scoppiate in 24 stati americani ed è probabile che il virus sia ormai endemico lungo le rotte migratorie orientali. La crisi innescata da queste stragi ha avuto impatti notevoli anche sui consumatori, causa aumenti sensibili dei prezzi: le uova sarebbero aumentate per esempio del 52%. Purtroppo, appare improbabile una via d’uscita tramite vaccinazione, dal momento che questi virus mostrano un alto grado di mutazioni.

… ma qualcuno dice no

La domanda quindi è perché una tecnologia nata nel 2011, cioè 11 anni fa, non può essere ancora applicata negli allevamenti? Come al solito, sono i gruppi anti-ogm che avrebbero orchestrato l’usuale campagna di intimidazione dei normatori, agitando la bandiera degli allevamenti intensivi presentati come lager dalle condizioni malsane. L’agrobusiness, secondo loro, starebbe cercando con queste modifiche di ridisegnare il DNA degli animali per meglio adattarli agli ambienti “industriali” degli allevamenti. Accuse che peraltro poggiano su una base di verità: da quando l’uomo è diventato allevatore/agricoltore sono iniziate le selezioni degli animali che portavano le caratteristiche più funzionali alle esigenze gestionali e alimentari umane. Lo si è fatto per le colture, lo si è fatto per gli allevamenti. Abbattere mammut con le lance non era certo meglio.

Poi, che certi capannoni siano delle vere e proprie brutture, non serve ce lo ricordino gli pseudo-ambientalisti e pseudo-animalisti. Non a caso è da decenni che si lavora per l’evoluzione delle prassi legate al benessere animale, progredendo continuamente in tal senso. Del resto, ci sarebbero anche altre modifiche genetiche che permetterebbero di far nascere solo pulcini di un determinato sesso, mettendo fine alla mattanza di quelli nati col sesso “sbagliato”, ma anche in tal caso sono sempre le stesse compagini a remare contro tali innovazioni biotecnologiche.

In sostanza, e come spesso accade, chi propugna ideali di per sé nobili se presi in valore assoluto, poi si mostra la prima causa di inutili stragi e sofferenze. A conferma che la strada dell’inferno è davvero lastricata di buone intenzioni.

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Anpi: come una Meloni qualsiasi?

Il 25 aprile si avvicina. Si attendono le manifestazioni di piazza, i canti e gli slogan

L’Anpi, associazione nazionale partigiani d’Italia, emette un comunicato sui massacri di Bucha, in Ucraina. Un intervento che ha ricordato quello di Giorgia Meloni quando s’interrogava sulla “matrice” politica delle violenze dell’estrema destra romana

Commentando le violenze romane perpetrate dai fascisti a Roma, inclusa l’invasione e la devastazione della sede della Cgil, Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, avrebbe così commentato ai giornalisti che le chiedevano un parere:

«È sicuramente violenza e squadrismo, poi la matrice non la conosco. Nel senso che non so quale fosse la matrice di questa manifestazione, sarà fascista, non sarà fascista, non è questo il punto. Il punto è che è violenza, è squadrismo e questa roba va combattuta sempre»

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Giorgia Meloni, sarà pure una donna, una madre e una cristiana. E nessuno glielo vuole togliere, sia chiaro, ma magari sarebbe meglio fosse anche onesta e coraggiosa, denunciando in modo diretto i picchiatori fascisti che quelle violenze hanno perpetrato. Perché far finta di non conoscere bene la “matrice” di tali violenze è solo sintomo di paraculismo professional level.

Ma i tempi cambiano in fretta ultimamente, come una pallina da tennis cambia campo ogni pochi secondi. Ma sempre la stessa pallina è, sia chiaro. A conferma, sulle stragi e le distruzioni emerse nella città ucraina di Bucha l’Anpi si è espressa come segue:

L’ANPI condanna fermamente il massacro di Bucha, in attesa di una commissione d’inchiesta internazionale guidata dall’ONU e formata da rappresentanti di Paesi neutrali, per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili. Questa terribile vicenda conferma l’urgenza di porre fine all’orrore della guerra e al furore bellicistico che cresce ogni giorno di più. L’Ufficio Stampa ANPI. 4 aprile 2022

Questo il post integrale pubblicato su facebook. E fino a “Paesi neutrali” è del tutto condivisibile. Da lì in poi, il baratro. Un baratro al cui fondo giace la frase “[…] per appurare cosa davvero è avvenuto, perché è avvenuto, chi sono i responsabili”.

In pratica, Anpi si è comportata come una Meloni qualsiasi, fingendo di non sapere e di non aver visto. Un cascodallenuvolismo che sembra accomunare poli ideologici fra loro in teoria agli antipodi. O forse, li accomuna proprio perché agli antipodi, cioè a suon di prendere le distanze gli uni dagli altri sono finiti spalla a spalla nel medesimo punto del Globo? Chissà.

Rispondere all’Anpi è facile, come fu facile rispondere a Giorgia Meloni sui fatti di Roma.

Cosa è avvenuto a Bucha? Basta avere gli occhi, ma da un mese a questa parte, non solo il 4 aprile. Con scuole, ospedali e teatri-rifugio distrutti dai missili ex-sovietici insieme a chi stava sotto quei tetti.

Perché è avvenuto? Perché Vladimir Putin, un macellaio ex Kgb con manie di egemonia di stampo sovietico, ha deciso di prendersi intere aree della confinante Ucraina: le più ricche di carbone e di minerali preziosi, organizzando e finanziando per anni le locali forze para-politiche e para-militari che hanno inscenato la guerra di secessione, parlando e combattendo come burattini i cui fili sono tirati da Putin fin dal principio.

Chi sono i responsabili a Bucha? I razziatori russi vestiti da militari, ma sempre e comunque tagliagole dentro. Criminali di guerra che meritano di fare la fine di quelli nazisti dei tempi di Norimberga.

Capisco che l’Anpi sia ormai in mano a gente che non era manco nata quando i veri partigiani sparavano ai nazisti con le armi e le munizioni date loro dagli Alleati. Come pure morivano sotto le sventagliate degli Schmeisser tedeschi.

Capisco che da decenni l’Anpi sia ormai feudo di quella sinistra che si schierò coi carri armati sovietici a Praga e Budapest, come pure parteggiò per Mosca quando pianificava di piazzare missili nucleari a Cuba a un tiro di sasso da Miami. Quella stessa sinistra che oggi usa quell’episodio, la reazione americana alla concreta minaccia nucleare sovietica, come improprio paragone con l’invasione russa dell’Ucraina, millantando “minacce” che solo un criminale come Putin poteva inventare, pur di dichiararsi legittimato a un’invasione armata.

Pure capisco come i rubli russi al partito comunista italiano abbiano permesso alla sinistra nostrana un sacco di iniziative di piazza. Ci sta: anche gli Americani hanno dato un sacco di soldi a chi si opponeva al comunismo. Una cosa, quella dei finanziamenti, possibile però solo nei Paesi occidentali divenuti (quasi) democratici, perché in quelli d’Oltrecortina non c’erano partiti d’opposizione al comunismo cui dare soldi nel tentativo di vincere le elezioni e spostarne quindi gli indirizzi politici. Lì c’erano i carri armati di Mosca. Hai voglia te di finanziare gli oppositori… a trovarne, peraltro, visto che Baffone li aveva o uccisi, o spediti a “rieducare” in Siberia.

E, pensa un po’, sono persino d’accordo con l’Anpi quando si arrabbia con i fascisti o cripto-tali che danno la colpa ai partigiani per le Fosse Ardeatine, in ossequio allo storytelling che nessuna opposizione partigiana andava realizzata contro i nazisti, poiché dopo c’erano le ritorsioni delle SS sulla popolazione civile. Una distorsione mentale che pone gli invasori stragisti in secondo piano quanto a responsabilità degli eccidi, elevando a principali colpevoli coloro che quegli invasori stragisti stavano cercando di contrastare.

Stranamente, questo storytelling tipicamente di destra viene riproposto oggi, pari pari, a carico dei resistenti ucraini, in buona parte proprio da quella sinistra che fra qualche giorno, il 25 aprile, festeggerà la Liberazione con bandiere, canti, fazzoletti rossi e inni all’eroismo partigiano nostrano. Una schizofrenia politica e ideologica che non trova spiegazione alcuna in un cervello normo dotato. Perché mica mi direte davvero che regge la panzana che i nostri partigiani combattevano contro un nemico in ritirata e non con uno in avanzata eh? Perché in questo modo date ragione proprio ai cripto-fascisti anti-partigiani che da sempre sostengono l’inutilità – anzi, la dannosità – dei partigiani, visto che tanto, alla fine, sono stati gli eserciti regolari degli Alleati a vincere la guerra.

Beh, vi do una notizia: non c’è alcun esercito di alleati ad avanzare in Ucraina per liberarla dall’invasore russo. Ecco perché per “porre fine all’orrore della guerra e al furore bellicistico”, sempre da comunicato Anpi, l’unica cosa che ogni Paese civile può fare è sostenere in ogni modo, anche con le armi e le munizioni, i Resistenti ucraini, regolari o irregolari che siano. Perché i macellai che invadono liberi Paesi altrui, gli avvelenatori di avversari politici e i killer di giornalisti scomodi, è con le armi che vanno abbattuti, non sventolando bandiere in piazza al canto della pur nobile “Bella ciao!”. Quell’inno alla resistenza e al coraggio che se la udissero oggi i veri partigiani, quelli ormai morti e sepolti, risorgerebbero dalle tombe e dispenserebbero tanti di quei ceffoni da far diventar calvo un capellone.

Infine una piccola lezione di stile. Anche Amnesty International ha emesso un comunicato, apparentemente simile a quello dei Anpi. Apparentemente, ma nella sostanza completamente diverso e quindi di gran lunga migliore. Anche AI sostiene infatti che sia “[…] fondamentale che ci sia una rapida inchiesta internazionale indipendente che accerti le responsabilità”, ma poi aggiunge anche “[…] che vada poi a ingrossare la mole già notevole di prove di possibili crimini di guerra russi che sono all’esame del procuratore del Tribunale penale internazionale“. (dichiarazione di Riccardo Noury ad Adnkronos).

Sul sito di AI si trova infatti un comunicato più ampio ed esaustivo:

Quanto accaduto a Bucha è parte di un più ampio sistema di crimini di guerra, tra cui esecuzioni extragiudiziali e torture, commessi in altre zone occupate dell’Ucraina. Temiamo che la violenza inferta ai civili di Bucha da parte dei soldati russi non sia un caso unico. Questi episodi devono essere indagati come crimini di guerra”.

Indagati, ma per dare nomi e cognomi ai criminali di guerra, non perché non sia chiaro che divisa vestissero i macellai di Bucha. Non ci sono infatti “matrici” la cui origine deve essere ancora compresa. Non ci sono dubbi sulle bandiere sventolate da chi uccideva e distruggeva. Nomi e cognomi: questi servono per un processo per crimini di guerra. E questi AI chiede. Forse non ne avrà mai. Ma almeno, ha confermato di essere dalla parte giusta della storia. L’Anpi no.

Sarà quindi meglio che l’Associazione nazionale partigiani d’Italia cambi velocemente rotta e faccia pace con le proprie origini Resistenti anti-nazifasciste, perché col cerchiobottismo finto-pacifista attuale passare ad Associazione nazionale putiniani d’Italia, ve lo dico, è un attimo.

PS: mi scuso coi macellai. Purtroppo, il loro lavoro comporta fare a pezzi dei corpi. Quindi è quello che meglio si presta come sinonimo di chi altrettanti pezzi faccia, ma di Esseri umani. Abbiate pazienza, vi stimo e vi voglio bene, ma di nomi migliori per certi sanguinari non ce n’è…

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Scemi di pace in tempo di guerra

I medesimi profili che si sono “distinti” in materia di covid-19 ora si stanno “distinguendo” anche in tema di guerra in Ucraina

Invasione dell’Ucraina: sui social proliferano bandierine russe e/o italiane con l’aggiunta di mattoncini, mentre in tv pullulano anche pseudo intellettuali vocati a distorcere storia e realtà per una deprecabile inclinazione ideologica filo russa, più o meno larvata. Meccanismi già visti in tema pandemia, con i medesimi, nefasti risultati

Una volta si diceva “scemi di guerra in tempo di pace“. Oggi, visti gli scenari in corso, è bene ribaltare la frase in “scemi di pace in tempo di guerra“. La sovrapposizione tra no-vax e filo-Putin è infatti saltata all’occhio prepotentemente, a conferma di un detto veneto per il quale “Viagiar descànta ma se ti parti mona te torni mona“.

E così, se sui social è stato tutto un florilegio di bandierine russe ed esaltazioni di Vladimir Putin come grande leader, su giornali e televisioni hanno lasciato la propria impronta diversi sedicenti intellettuali la cui grande cultura sembra però che poco abbia potuto contro l’inclinazione politica e ideologica. O la convenienza personale, ovviamente.

Non ci si dilungherà sui dettagli del conflitto in Ucraina, terreno amato soprattutto dai puntacazzisti della “questione complessa“. Perché di complesso poco c’è da discutere: c’è solo un despota sanguinario e perfido che da tempo fa strage di avversari politici e giornalisti scomodi, come pure opera da vent’anni per ritagliare fette di Paesi altrui al fine di rifagocitarli all’interno della dominanza moscovita. Un dittatore-eletto-dal-popolo, perché capita anche questo ossimoro quando la democrazia è fragile e fallata. Un dittatore de facto che insieme al proprio seguito di lacchè mente spudoratamente su tutto, sempre, forte di una banda di assassini sempre pronti a liberargli il campo con la ricina, il polonio radioattivo o il novichok. E se non bastano i veleni, ci sono pur sempre le meno raffinate pistolettate, come le quattro riservate ad Anna Politkovskaja, guarda caso nel giorno del compleanno del “Gran Visir di tutti i macellai”, ovvero quel Vladimir Putin che si è perfino vantato dell’efficienza dei propri sicari. Basti ricordare il caso di Aleksej Navalnyj, suo oppositore politico avvelenato ponendogli del novichok nella cucitura delle mutande. L’attivista russo si è salvato per puro miracolo e Putin non ha mancato di bullarsi del fatto che se lo avessero voluto morto loro, lui sarebbe morto. Nessuno però si scandalizzò per tali atteggiamenti, riservando il proprio sdegno solo per Biden che ha definito Putin un macellaio a cui togliere il potere. Capita, quando l’indignazione si manifesti solo a targhe alterne.

Che Mosca sia un vero e proprio nido di serpi lo si sa da tempo. Erano ancora caldi i cannoni della seconda guerra mondiale che l’Urss (Mosca, di fatto) aveva già invaso Praga e Budapest coi propri carri armati, al fine di sedare le legittime ambizioni autonomiste dei Paesi dell’Est europeo. Invasioni che la stampa di sinistra italiana sostenne e giustificò senza la benché minima vergogna. Palmiro Togliatti, l’allora segretario del PCI, commentò l’intromissione sovietica sostenendo che “Data la divisione dell’Europa in due blocchi, una protesta contro l’Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa non fosse intervenuta”. Quindi, nella sinistra nostrana risultano alquanto radicate le giustificazioni a Mosca di invadere chi si opponga al proprio imperialismo. Nulla da stupirsi quindi degli attuali commenti sull’invasione dell’Ucraina, tutto sommato figli dello stesso pensiero anti-occidentale a prescindere.

Ancor prima di Budapest e Praga, però, in Polonia l’Armata Rossa ne ha combinate più di Bertoldo, facendo poi ricadere le colpe sui nazisti, come avvenne il 5 marzo 1940 a Katyn, ove i soldati sovietici uccisero oltre 20mila cittadini polacchi, militari e civili, catturati dopo l’aggressione operata dall’Urss nel 1939. Prigionieri politici, intellettuali e ufficiali furono massacrati al fine di tagliare le gambe a una Polonia sulla quale Stalin aveva messo gli occhi da tempo. Perché questo è lo stile moscovita-stalinista: una tradizione che prosegue da 90 anni. Risale infatti agli inverni del 1932 e 1933 l’Holomodor, la grande carestia ucraina provocata dai sistematici rastrellamenti di derrate alimentari ordinate proprio da Stalin. A morire letteralmente di fame furono milioni di Ucraini: da stime minime comprese tra 1,5-3 milioni a stime ucraine fra i 7 e i 10. Sia come sia, anche stando a una grossolana via di mezzo, l’Holomodor è stato un genocidio di enormi proporzioni, paragonabile per numero di morti all’Olocausto degli Ebrei provocato dai nazisti. Solo che Stalin non si prese la briga di costruire lager e deportarvi gli Ucraini: li lasciò più semplicemente a morire di fame a casa loro. Poi ci si chiede perché gli Ucraini odino gli eredi del comunismo moscovita?

Infine la Nato, supposta causa scatenante delle azioni spacciate per difensive di Vladimir Putin. La Nato, secondo loro, si sarebbe espansa troppo, minacciosamente. Questa la giustificazione attuale di molti, troppi pseudo intellettuali che proliferano sui media. Ma vediamo: ha forse usato i carri armati, contro-occupando lei Praga e Budapest? Ha forse soggiogato lei Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia con la minaccia delle armi? Ha forse conquistato lei, con le armi in pugno, la Germania dell’Est, quella prigione a cielo aperto eterodiretta da Mosca fin dal 1945? A dividere le due Germanie non vi era infatti solo il famigerato Muro di Berlino, bensì anche chilometri e chilometri di reticolati di filo spinato, a lunghi tratti elettrificati. Lungo di essi, nei punti più gettonati da chi voleva fuggire a Ovest, furono costruiti muri con torrette da cui i militari monitoravano il confine, pronti a sparare nella schiena a chi avesse tentato il varco. Non paghi, predisposero pure delle strisce di terreno con mine antiuomo.

Quindi no: non è stato l’Occidente a “rubare” a Mosca i Paesi ex comunisti, quelli che hanno subito per decenni le vessazioni moscovite, bensì sono stati loro stessi, in piena autonomia e libertà (finalmente!) che se la sono data a gambe non appena l’Orso russo è andato al tappeto nel 1989. Apertasi una finestra, ci si sono infilate dentro tutte con la valigia in mano. E di corsa pure. Quindi non è la Nato ad essersi espansa: sono i Paesi ex-comunisti che si sono buttati fra le sue braccia con estrema convinzione e con tutti i motivi per farlo. E altrettanto si può dire per l’Unione europea, in cui oggi permangono perfino due Paesi simbolo del comunismo più totalitarista come Romania e Bulgaria.

Non è quindi colpa della Nato e della Ue se sotto Mosca questi popoli sognavano la libertà: è colpa di Mosca stessa, la quale nulla ha mai fatto per dare una benché minima ragione a quei Paesi di restare nella sua orbita anziché entrare in quella occidentale. Se un concorrente è più bravo di me mi sottrae clienti. Ma mica me li ruba: è semplicemente più bravo di me. Quindi i casi sono due: o miglioro il mio lavoro e mi difendo tramite una maggiore qualità dei prodotti e dei servizi, ma in tal caso ci vogliono capacità e onestà intellettuale, oppure tiro mattonate nelle vetrine del concorrente e minaccio di morte i suoi clienti se provano soltanto a entrare in un negozio che non sia il mio. Ecco, Putin ha da sempre prediletto questa seconda scelta. Dargli giustificazioni, anche se mascherate da “raffinate analisi geopolitiche dell’estrema complessità della questione“, è quindi vergognoso. Senza se e senza ma.

Soprattutto ricordando la rabbia della medesima area intellettuale di fronte alle ingerenze degli Usa in Sudamerica, favorendo anche regimi dittatoriali come quelli di Augusto Pinochet in Cile pur di non trovarsi sotto il sedere qualche Paese socialista e, quindi, potenzialmente filosovietico. In tal caso, però, i finanziamenti ai macellai fascisti non sono stati considerati come una “scelta obbligata“, causata dall'”aggressiva espansione” del comunismo anche Oltreoceano, a un passo dagli Stati Uniti. Anche loro si sono sentiti minacciati, come è stato detto di Putin? No, da parte degli intellettuali de’ noartri per gli Usa di giustificazioni non ne sono state trovate affatto, bollando (giustamente) quelle intromissioni come una bieca forma di imperialismo. E questo era, infatti. Stupisce semmai che quella moscovita non venga bollata come tale, bensì come reazione all’imperialismo altrui.

Come per miracolo, infatti, la libera volontà di guardare a Ovest di molti Paesi ex comunisti, oggi l’Ucraina, è stata bollata come una provocazione alla Russia, la cui reazione, cioè l’invasione dell’Ucraina, andrebbe pertanto compresa.

Ben poco c’è da comprendere: così come Hitler operò sotto l’ossessione di avere la rivincita della Prima Guerra mondiale, così Putin opera dal 1989 seguendo l’ossessione di ricostruire quello che il crollo dell’Urss aveva trascinato con sé, per poi dominarlo, ovviamente. Un uomo neanche quarantenne, cresciuto nel Kgb, con una grande dimestichezza con omicidi e veleni, che vede il proprio mondo sbriciolarsi, l’Urss dissolversi, Paesi in precedenza sottomessi scappare verso l’odiato Occidente. E poi i McDonalds a Mosca, ennesimo schiaffo a un oligarca con manie di grandezza come lui. Un uomo sotto la cui guida la Russia è calata demograficamente, si è impantanata economicamente, ha cancellato ogni diritto civile e ha visto eliminare fisicamente chiunque si opponesse a tale scempio.

Quindi piantatela di dire che la questione è complessa. Non lo è: o si sta da una parte o dall’altra. E quella di Putin è, è sempre stata e sempre sarà la parte sbagliata.

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Biodinamica e il non-argomento dell’albicocca

Ortofrutta: è buona quando è buona, non perché bio o biodinamica (Fonte: pickpng.org)

Non sono tardate le risposte alle critiche mosse alla biodinamica dalla Senatrice Elena Cattaneo, nonché da decine di docenti, ricercatori e tecnici del settore agricolo e universitario. Ovvi i contrattacchi, alcuni dei quali sconfinano nel ridicolo

Senatrice Cattaneo, ma Lei ha mai assaggiato un’albicocca biodinamica?

Ecco, fra la tante risposte (alcune delle quali vere e proprie contumelie) che Elena Cattaneo ha ricevuto per la sua critica al DDL 988 su biologico e biodinamico, ce ne sono alcune che sconfinano nel ridicolo. A riprova che quando gli argomenti seri scarseggiano, tutto ciò che resta da usare sono i paraventi di fumo.

L’invito ad assaggiare qualcosa, già inoltrato in passato alla Senatrice da alcuni rappresentanti del mondo Bio, appartiene infatti a quest’ultima categoria di argomentazioni. O meglio, di non-argomentazioni. Si entra infatti in un campo che tutto è tranne che sperimentale e che ricorda un po’ quello di chi oggi crede all’omeopatia perché su di lui “avrebbe funzionato”, non comprendendo bene che l’efficacia di un supposto rimedio non si valuta su singole testimonianze, bensì su complessi e ampi studi in “doppio cieco” al fine di trovare un’evidenza statistica che confermi o smentisca l’efficacia stessa. Il resto è fuffa. A conferma, c’è anche chi è convinto di essere stato beneficiato da un miracolo divino, quando invece ha solo avuto la fortuna sfacciata di non finire giù da un dirupo grazie a un albero che ne ha fermato la corsa.

Ecco, l’assaggio di un frutto è anche peggio, perché esalta due fattori che con la valutazione scientifica c’entrano come i cavoli a merenda, bio non bio poco importa. In primis, i gusti sono gusti e qualcosa che piace a uno può piacere meno a un altro. Quindi meglio sarebbe mondare la valutazione dalle componenti soggettive, anche perché queste sono pesantemente influenzate dalla psiche e dalla persuasione, più o meno ingannevole, che su di essa può essere esercitata: se si viene convinti che quel prodotto debba per forza essere migliore di un altro, il nostro cervello rischia di confermare tale percezione non perché sia vera, bensì perché condizionato a dare quella risposta a prescindere.

Memorabile in tal senso una prova di assaggio fatta su alcuni ignari passanti, cui furono offerti dei piselli in scatola con o senza colorante. Il verde dei piselli diventa infatti marroncino dopo il trattamento termico, quindi sono stati messi a punto dei coloranti termostabili, inodori e insapori, atti a preservare il verde brillante tipico del legume. Alcune scatole di piselli vennero quindi trattate termicamente senza l’aggiunta del colorante e poi, come detto, offerti ai passanti al fianco di piselli identici, ma colorati. Inequivocabile la risposta: quelli verdi sì che erano belli freschi, mica quegli altri che sapevano di “cece vecchio”. Erano di fatto i-den-ti-ci, ma la mente degli assaggiatori era stata condizionata dall’intervistatore stesso e dal colore del prodotto.

Qualcosa di simile capitò perfino a dei sommelier cui vennero fatti assaggiare prima dei vini bianchi e poi dei rossi chiedendone per entrambi una valutazione. Peccato che quei rossi altro non fossero che i bianchi di prima opportunamente colorati. Ha in effetti dello sconcertante, ma quegli assaggiatori fornirono per i due assaggi descrizioni diverse, nonostante al palato e all’olfatto dovessero per forza risultare uguali. Gli occhi li avevano fregati, facendo partire in automatico l’autoexe per i vini rossi anche se stavano ri-assaggiando i medesimi vini bianchi.

Quindi, prima lezione: la scienza non si fa per impressioni personali o testimonianze individuali.

Seconda lezione: se anche un frutto è davvero migliore di un altro, la domanda è semmai perché. Ovviamente, secondo i biodinamici è perché quel frutto l’hanno fatto loro con tutto l’amore per la Terra e grazie a quella congerie di preparati (pseudo-scientifici) che secondo Rudolf Steiner avrebbero dovuto apportare alle colture vari effetti taumaturgici.

In realtà, quel frutto può essere più buono per motivi che con la biodinamica nulla c’entrano. E per comprendere tale punto è bene rifarsi a mio Zio Alberto buonanima, tipico caso di persuasione sballata dei rapporti di causa-effetto.

Di fatto, mio zio gestiva il negozio di biciclette lasciatogli da mio nonno, ma aveva anche un orto di discrete dimensioni al quale dedicava parecchio tempo. Molte biciclette giunte a fine vita lui le smontava, separava le varie parti e consegnava quelle più ingombranti all’immancabile “ferrivecchi” che passava dal negozio di tanto in tanto.

I pezzi più piccoli, come pedali e pedivelle per esempio, li teneva in serbo. Essendo fatte di ferro, quelle parti lui le seppelliva infatti nell’orto, convinto che ciò migliorasse la produzione dei suoi ortaggi. Questi erano di fatto splendidi, ma non certo per le sue pedivelle.

In realtà, il buon Alberto andava spesso a ritirare dello stallatico e lo distribuiva copioso sul terreno, incorporandolo a zappa e vanga. Irrigava le piante con assidua periodicità e levava a mano i bacherozzi o le foglie che mostrassero i primi sintomi di una malattia.

Il risultato era che difficilmente assaggerò ortaggi così buoni come quelli di mio zio, per giunta raccolti la mattina e serviti a pranzo. Altro aspetto, questo, che condiziona pesantemente il profumo e il gusto dei cibi. Eppure lui non ci sentiva: quei prodotti dell’orto erano così buoni perché avevano tanto ferro a disposizione.

Uno che abbia studiato un minimo sa bene che da quei rottami il ferro ben poco potesse fare alla salute delle piante. Ma lui no, duro: avevano sicuramente avuto un ruolo. E pensare che sarebbe bastato poco per creare un impero: scimmiottando Steiner, avrebbe potuto argomentare che quegli ortaggi erano così belli e buoni per via dell’energia contenuta in quei pedali, sui quali si erano scaricate, appunto, le energie dei proprietari delle biciclette. Avete idea di quanta energia è in effetti passata da quelle pedivelle nel corso degli anni? Un monte.

Invece il povero Alberto non comprese mai che la sua “rivelazione” potesse diventare una fonte di reddito importante, spacciando per miracolosi dei prodotti che buoni erano solo perché abbondantemente concimati e irrigati. Peccato: coi tempi che corrono la ziodinamica avrebbe avuto sicuramente un grande successo.

Contadini uno, maghi zero. E palla al centro.

Ecco, invitare la Senatrice Cattaneo ad assaggiare un’albicocca biodinamica ha più o meno lo stesso senso dell’invito da parte mia ad assaggiare un pomodoro di mio zio Alberto. Omettendo ovviamente che se il mondo occidentale dovesse dipendere dalle produzioni degli orticelli da pensionati andrebbe incontro alla peggiore carestia della storia del Pianeta. E guarda caso, la produttività è un altro dettaglio sul quale i biodinamici glissano sfacciatamente. A loro interessa infatti vendere a caro prezzo i propri prodotti a un numero limitato di ingenui danarosi, mica di sfamare il mondo.

A quello ci pensa infatti già l’agricoltura intensiva. E tutto il resto è noia (da ricchi, capricciosi e viziati).

PS: gli inviti ad assaggiare frutta lasciamoli ai proprietari di bancarelle da mercato, cioè quelli che come unico strumento di marketing hanno quello di urlare più forte per convincere i passanti di avere i prodotti migliori degli altri. La scienza, l’unica, né vecchia, né nuova, è altra cosa.

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