Agrofarmaci e autorizzazioni: perché sono affidabili

La registrazione di una nuova molecola è lunga, complessa e costosa

Nella percezione popolare le multinazionali ottengono quello che vogliono pagando, incluse le autorizzazioni europee e nazionali dei propri prodotti. Ovviamente, non è così e capirlo è in fondo facile

Bustarelle, dossier scomodi insabbiati, connivenze e conflitti di interesse. Chi opera come il sottoscritto nel settore della difesa fitosanitaria incontra ogni giorno qualcuno che contesta l’attuale sistema di autorizzazione delle molecole, reputandolo torbido, sospetto, inaffidabile. Come conseguenza, si reclama l’affidamento della ralizzazione dei dossier a istituti indipendenti, togliendolo ai “contractors” privati che attualmente li sviluppano su commissione delle aziende. Tutto ragionevole? Niente affatto.

Sviluppo e registrazione: un cammino infinito

Ciò che la gente comune non sa, è che per fare arrivare una molecola a registrazione una multinazionale parte da oltre 10 mila candidate proposte dal Discovery e ne fa fuori lei stessa per strada il 99,99%. Nel volgere di pochi anni avviene infatti la prima scrematura, eliminando le candidate che non si siano rivelate abbastanza efficaci e stabili, o che abbiano mostrato tossicità elevate anche in test preliminari di breve periodo.

Una dopo l’altra, le meno idonee vengono eliminate dalla stessa multinazionale, la quale seleziona progressivamente quelle che hanno qualche possibilità di giungere alla fine del processo, superando i paletti posti dalle normative e dalle Autorità preposte alla valutazione finale, di tipo pubblico. Se una molecola ha delle criticità, viene quindi eliminata il più presto possibile per non perdere inutilmente denaro in un vicolo cieco.

E infine si arriva alle ultime fasi, quelle in cui tutto sembra andare per il meglio e si passa quindi alla preparazione dei dossier finali da sottoporre alle Autorità, l’Efsa in Europa. La multinazionale a quel punto ha infatti un’idea abbastanza chiara, ma alcune informazioni ancora le mancano o sono in itinere, come per esempio gli studi di lungo periodo. Nel frattempo, però, scommette sulle proprie molecole migliori e continua a investire per completarne i dossier, confidando che anche quegli ultimi test diano risultati positivi e che la registrazione diventi possibile.

In tale fase entrano in scena anche i cosiddetti “contractors”, ovvero delle società specializzate e certificate per la realizzazione di test tossicologici, ambientali e agronomici conformi alle richieste dei normatori pubblici, anche dal punto di vista formale.

Oltre che di laboratori delle multinazionali si parla cioè di aziende che operano in Good Laboratory Practice, come ha spiegato Angelo Moretto, direttore del Centro internazionale per gli antiparassitari e la prevenzione sanitaria in un’intervista su AgrNotizie di cui si riporta di seguito lo specifico passaggio relativo ai centri di saggio, i quali avrebbero secondo Moretto

“… tre differenze fondamentali rispetto agli studi pubblicati [dai ricercatori cosiddetti indipendenti, nda]: la prima, che vale per gli studi fatti per lo meno negli ultimi 25 anni, è che sono fatti sotto le buone pratiche di laboratorio, seguendo regole ben codificate sia per il disegno sperimentale, sia per le modalità di conduzione dello studio, di valutazione dei risultati, di archiviazione dei campioni eccetera. La seconda, è che hanno un sistema di qualità esterno che va a verificare che effettivamente siano state rispettate queste regole. Peraltro, soprattutto negli ultimi 15 anni, molti studi non sono nemmeno condotti dalle compagnie stesse, bensì da contractors esterni che talvolta neanche sanno il nome della sostanza perché viene data loro come siglato sperimentale. Terza differenza fondamentale è che chi fa la valutazione di questi studi, cioè gli organismi pubblici, ha accesso ai dati grezzi. Cioè a tutti i dati raccolti e non solo ai report finali. Se si vuole vedere per esempio che risultati ci sono per il ratto n° 4610, che ha fatto prelievi di sangue a 3, 6, 9 ,12 mesi, queste informazioni sono disponibili per ogni parametro cercato e misurato. È quasi come se il valutatore fosse presente nel laboratorio”.

Si potrebbe però obiettare come ciò possa aprire la strada alle critiche di inaffidabilità dei dati, perché forniti da qualcuno che direttamente o indirettamente può averli manipolati. E quindi prosegue Moretto:

Certo, uno può anche dire che i dati sono tutti inventati. Ma se è solo per questo, anche i lavori scientifici pubblicati possono contare su dati del tutto inventati. Anche perché le valutazioni peer review a fini di pubblicazione sono generalmente fatte solo sui dati sintetici, senza aver accesso ai dati grezzi. Se sorge un dubbio circa un effetto al fegato, coi dati grezzi io posso magari cercare correlazioni con gli effetti misurati su altri organi. Con gli studi pubblicati, invece, se non si vedono effetti rilevanti in un dato organo magari non li cita neanche nel lavoro finale da pubblicare. Queste sono le differenze fondamentali”.

In sostanza, l’attività dei laboratori privati è attentamente monitorata e sottoposta lei stessa a controlli severi. Il tutto proprio per scongiurare che vi sia compiacenza con i committenti.

In tal senso va anche smentito il supposto “conflitto di interesse“, spesso contrapposto a quello che vede gli enti di certificazione del biologico essere pagati direttamente dagli agricoltori stessi. Le due situazioni sono infatti molto differenti fra loro.

Al contrario di questi enti, infatti, pagati direttamente da chi acquista presso di loro le bio-certificazioni, i contractors non hanno alcun potere sui committenti. Non sono cioè loro a fare valutazioni in merito alla registrabilità delle molecole, né tanto meno hanno ruoli decisionali normativi. Sono cioè più che altro assimilabili a dei laboratori di analisi ove ci si reca per verificare i nostri livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue. Si paga, ci si sottopone al prelievo e infine si ritira il referto. Su di esso ci sono solo i valori, perché non è compito del laboratorio esprimere giudizi in merito. Né tanto meno spetta a lui dire cosa debba o non debba fare il soggetto analizzato.

Questo andrà quindi dal suo medico con il referto e sarà quest’ultimo a valutarlo e a trarne le debite considerazioni. Ovviamente, neanche il medico in questo caso può obbligare il paziente a mettersi a dieta, mentre l’Efsa può esprimere parere negativo su una richiesta di autorizzazione o porre ben precisi limiti applicativi in caso la multinazionale volesse comunque tentare di registrare lo stesso il proprio prodotto.

Avendo lavorato sei anni per una multinazionale, anche nel reparto Sviluppo, ho visto personalmente bocciare molecole alquanto promettenti già a livello aziendale. Un erbicida mostrava criticità ambientali su alcuni organismi acquatici e avrebbe avuto forti limitazioni di impiego. Un fungicida, invece, mostrò proprio all’ultimo dossier delle criticità tossicologiche di lungo periodo.

In entrambi i casi, nonostante fossero ormai prossime all’autorizzazione finale, la società decise di cassare le due molecole gettando al vento le svariate decine di milioni di dollari già investiti per ciascuna delle due. Nessuno ha mai visto quelle molecole nei campi, proprio perché fu la multinazionale stessa a depennarne il processo di autorizzazione.

Tutto ciò collide quindi fortemente con l’immaginario collettivo di aziende che addomesticano i risultati, o che falsificano dati, o ancora corrompono per far chiudere un occhio su dossier imbarazzanti.

Tutte situazioni buone per le trame di un film, non per il processo di autorizzazione delle molecole impiegate in agricoltura. Molecole che a volte impiegano più di dieci anni per vedere il mercato e hanno fatto spendere alla società produttrice anche più di cento milioni di dollari in ricerca e sviluppo.

Tempi e denari che se fossero vere le fantasie morbose dei complottisti non verrebbero certo spesi, adottando proprio quelle scorciatoie illegali e immorali di cui vengono spesso ingiustamente accusate da chi, di tali processi, capisce dal poco al nulla. Ma, purtroppo, non per questo si astiene dall’esprimere i propri sballatissimi giudizi.

Vi lascio quindi con due sottili domande:

  1. Se gli istituti sedicenti indipendenti venissero pagati loro per produrre i dossier registrativi opererebbero come contractors, obbligati alle medesime regole. Non è che quindi la loro supposta indipendenza andrebbe a farsi friggere, dal momento che i soldi che arriverebbero loro sarebbero sempre e comunque quelli delle medesime multinazionali?
  2. Inoltre, non è che, considerando il punto sopra, tutta la gazzarra fatta dagli istituti sedicenti indipendenti per togliere le prove sperimentali ai contractors, sia solo una squallida manovra per mettere loro le mani sui miliardi di dollari che attualmente finiscono in altre tasche?

A voi le risposte, ovviamente.

 

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